[ita] Gramsci per me

III GIORNATA GRAMSCI, 27 APRILE 2006 - DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI, CENTRE CULTUREL FRANÇAIS, ASSOCIAZIONE CULTURALE PER IL DIRITTO ALLA STORIA HISTORIA MAGISTRA

Una pagina di diario intimo resa pubblica

 

Nell’estate che ha seguito la maturità linguistica mi son trovata a dover scegliere quale percorso seguire: se continuare con le lingue come tutte le mie colleghe di liceo o optare per la costruzione di strumenti per affrontare temi politici. Ho scelto la seconda ipotesi, mi era già chiaro che l’interesse per le lingue non sarebbe mai scemato, ma avevo sete di quello che ora riconosco come metodo e soprattutto fame di conoscenze filosofiche, economiche e giuridiche.

Al primo esame universitario, Storia delle dottrine politiche, ho osservato da lontano una mia compagna di studi leggere Americanismo e fordismo dai Quaderni del carcere, con timore guardavo i volumetti nell’edizione NUE, convinta che mai avrei potuto aprire quelle pagine sottili e intendere qualcosa.

Per anni i miei saldi punti di riferimento filosofico-politici sono stati Rousseau e Marx, ma un allontanamento dall’Italia mi ha fatto perdere molto dell’entusiasmo politico che era cresciuto in me vivendo nell’ambiente universitario torinese. All’inizio del 2000 sono tornata definitivamente a Torino con un bagaglio di esperienze linguistiche decisamente più raffinato e concreto e, probabilmente di mala voglia, ho ripreso gli studi politici.

Improvvisamente al corso di Storia del pensiero politico contemporaneo tenuto dal professor d’Orsi ho conosciuto gli articoli gramsciani giovanili, così le pagine delle Cronache torinesi, nella pregevole edizione NUE, hanno iniziato a riempire le mie giornate, poi venne la raccolta La città futura e gli altri scritti precarcerari.

Durante la preparazione degli ultimi esami universitari è iniziato anche il mio avvicinamento all’ambiente mediattivista, dopo i fatti di Genova nulla poteva più rimanere al caso, si era ormai svegliata definitivamente la coscienza civile il cui germe serbavo al riparo dagli avvenimenti esterni. Così Gramsci, consiliarista, rivoluzionario, nelle sue analisi politiche e strutturali pareva darmi spunti, quasi risposte, a distanza di oltre 80 anni, alle domande, alle motivazioni che ricercavo per darmi ragione sia gli avvenimenti di lungo periodo che della più semplice cronaca politica, dal WTO all’emigrazione, nella mia testa il pensiero di Gramsci e l’avvicendarsi degli eventi politici cui assistevo iniziavano a compenetrarsi vicendevolmente.  

Da questa fase iniziale di incontro intellettivo, mi è stata offerta dal prof. D’Orsi l’occasione di portare avanti gli studi gramsciani prima con una Bibliografia molto ben strutturata per il cd-rom La città futura, ed in seguito con una tesi, ancora di natura bibliografica: una tranche della Bibliografia gramsciana ragionata, il cui lavoro, nel metodo, ormai sento appartenermi profondamente e che mi ha dato oltre tutto l’opportunità di cogliere l’importanza e il significato che ha un’analisi storiografica, questo benché l’esiguo arco temporale di cui mi sono occupata (dal 1952 al 1956) non abbia permesso grandi interpretazioni storiografiche, ma devo riconoscere che a livello personale mi ha soprattutto dato una sensazione straordinaria: quella di essermi tuffata e respirare profondamente un’epoca, sì diversa da quella che sto vivendo, eppure ormai così familiare.

Ancora una volta d’estate, stagione di decisioni, dopo la laurea, si è manifestato un cambiamento, la possibilità di una scelta.

La mia passione per le lingue non ha trovato mai definitivamente soddisfazione ed ho pensato non dovesse solo più essere uno svago, ma che potesse e dovesse partecipare alla costruzione di qualcosa di strutturato ed organico in me. Quasi naturalmente è nato così il mio progetto di dottorato: ho deciso di domandarmi la valenza ed il peso dell’apporto gramsciano in Germania (insomma, un profilo storiografico della ricezione del pensiero del Sardo nelle due Germanie prima e nella Germania unita, oggi), tema mai profondamente analizzato, come è invece successo per altre aree linguistiche, ma soprattutto si tratta di un tema che riguarda un cultura che sento d’essere portata a capire più facilmente rispetto ad altre persone e molto probabilmente non solo per mere conoscenze lessicali.

In seguito alla stesura del progetto di dottorato ho iniziato a ripensare alla mia esigenza di utilizzare le lingue, di lavorare con esse, di entrare in un’altra dimensione linguistica e culturale.

Un’ipotesi di comprensione, dopo tanti anni, finalmente mi è arrivata ricostruendo, sul filo rosso che sto seguendo ora, il mio percorso, osservando l’apporto dell’esperienza mediattivista e la concomitante lettura di studi gramsciani: ancora una volta ho sentito che la spinta interiore arrivava da una necessità pratica, pragmatica, civile, il bisogno di traducibilità e di comprensione appieno tra esperienze culturali non simmetriche, ma simili, ed il desiderio di stimolare all’azione.

Col passare del tempo e approfondendo la questione della traducibilità secondo il modello gramsciano, ho potuto constatare che l’ossessivo bisogno interiore di lingue non è un semplice vezzo, un capriccio, un esercizio di stile, ma ha una coerenza, una logica di cui prima ero incosciente. Ormai da un decennio ad affiancarsi alle lingue come mio interesse principale è l’informatica, in generale intendo i linguaggi di programmazione. Questi due tipi di interessi sono perfettamente incastrati dentro il modello gramsciano rispettivamente di traducibilità interparadigmatica, ristretta, ed interculturale, generale, secondo le definizioni del linguista Derek Boothman. E questo incastro perfetto in un modello teorico, trova la sua risposta nella mia attività di tutti i giorni compenetrata dalle due caratteristiche linguistiche, il linguaggio formale, quello informatico, e quello interculturale, di civiltà, sostanziale, ambedue strumenti di traduzione della realtà.

Ciò che scuote profondamente la mia attività è il bisogno di sorpassare le barriere interne ad ogni specialità, tentando di tradurre, coerentemente e con i limiti del caso, ogni parte delle mie attività sia dal punto di vista metodologico che dal punto di vista sostanziale. La ricerca va dunque verso una lingua naturale, nel senso quotidiano del termine, armonica, che traduca ogni paradigma, linguistico o culturale; il risultato sarebbe però irraggiungibile senza una risposta che Gramsci trova proprio nella filosofia della prassi: non è una questione lessicale a dividere, a fungere da barriera, quanto l’esperienza diversa di ognuno che sta alle spalle del nostro linguaggio, ostacolo superabile solo attraverso il lavoro comune, l’esperienza comune, la condivisione.

Document Actions