6.7 Il percorso di Wolfgang Fritz Haug.
Gramsci, Brecht e il marxismo plurale
Alla fine degli anni Settanta W. F. Haug, a cui finora abbiamo guardato come animatore di numerosi progetti legati alla rivista «Argument», affronta temi teoricamente rilevanti riguardo alla cultura della classe operaia ed a tal fine cerca di comprendere appieno le differenze tra cultura ed ideologia[1]. Durante la trattazione, il filosofo di Esslingen incontra il Me-ti di Brecht e lo pone in relazione al pensiero di Marx. Emerge così la lezione brechtiana, secondo la quale tutto ciò che appartiene all’ambito culturale deve essere rigorosamente distinto dall'«economico», per evitare la regressione in un concetto di cultura generalistico all’interno del quale si sussumerebbero tutti i fenomeni umani. Haug riprende anche le concezioni di cultura proposte da alcuni intellettuali tedeschi quali Max Weber, Kaspar Maase e Dietrich Mühlberg. Quest'ultimo, riporta l’autore, si pone a sostegno di una divisione del lavoro valida anche nell’ambito intellettuale e afferma dunque l’esistenza di una cerchia di lavoratori specializzati sul terreno culturale, realizzando di fatto un'equivalenza tra cultura ed ideologia. Haug segnala che neppure nel programma della sed è possibile rintracciare una tale definizione; vengono piuttosto caldeggiate e favorite quelle condizioni utili agli uomini a dare forma e arricchire il contenuto delle proprie vite; ne consegue che i provvedimenti statali o di partito dovrebbero, secondo il programma della sed, concentrarsi sulle condizioni in cui viene creata la cultura e non sulla cultura stessa. A questo punto Haug propone un parallelo tra la formulazione del programma della sed e la visione gramsciana dell'egemonia culturale. Ritroviamo alcune osservazioni rivolte da Gramsci agli intellettuali poste in un linguaggio non immediatamente traducibile in tedesco, per cui l’autore spiega la visione gramsciana dell'intellettuale organico e di come l'intellettuale rifuggire l’elaborazione di valori estranei alla comprensione delle masse e della classe operaia. Se infatti i valori di quest'ultima fossero artificialmente sviluppati dagli intellettuali, ciò non solo denoterebbe arroganza, ma impedirebbe alle masse stesse di emanciparsi prendendo parte al processo culturale.
Giorgio Baratta ha avuto occasione di descrivere il concetto di Pluraler Marxismus [2] enunciato da Haug nella prefazione all’omonimo volume e ha ricordato come l'opera abbia portato ad alcune forti e talvolta insanabili polemiche all'interno del comunismo tedesco federale, in sostanziale contrapposizione alle visioni coeve volte ad affrontare la crisi del marxismo «riconoscendo apertamente l'esistenza di vari "marxismi" e proclamando l'esigenza del "ritorno a Marx"» [3] . Secondo Baratta, Haug propone una differente dialettica di universalità e specificità: un percorso che evita i poli negativi di unità dogmatica idealista e del pluralismo borghese e guarda ai mutamenti della produzione capitalistica, un processo definito «elettronico-automatico», caratterizzato da un decentramento geografico delle aree di conflitto tra forze produttive e rapporti di produzione. Dalle trasformazioni del modo di produzione del capitale attraverso l'unità di struttura e sovrastruttura, sostiene Baratta, Haug si ispira direttamente a Gramsci, mutuando la «"necessità di tradurre" la dinamica "delle classi e degli interessi di classe dalla sfera economica a quella politica in senso ampio" (società civile e stato)» [4] . In tal modo, evidenzia ancora Baratta, nella sua impostazione l'opera ricorda Americanismo e fordismo di Gramsci. Se per queste analisi Haug si è collegato agli studi di Joachim Hirsch, il suo gramscismo si inquadra in quella corrente di studi diffusa in brd volta ad accentuare l'antieconomismo di Gramsci.
Avvicinandosi di più al testo osserviamo che la formula marxismo plurale, come specifica Haug, si riferisce ad un marxismo «der seine Einheit in der Pluralität immer wieder neu herzustellen gelernt hat, wird handlungsfähiger sein im Umgang mit den unterschiedlichen gesellschaftlichen Kräften und Fragen, und die Anerkennung des weltweiten Polyzentrismus wird ihm keine besondere Schwierigkeit bereiten» [5] . Pertanto la formula usata nel titolo del saggio è da leggere dialetticamente: la contraddizione tra il plurale ed singolo del marxismo descrive un compito, sta per l'unità ed il molteplice. L'espressione si rivela anche come formula correttiva ed autocritica nel parlare di marxismi al plurale e in questo quadro, puntualizza Haug, va anche posto in questione il concetto di marxismo occidentale, in quanto fenomeno eurocentrico.
Nel testo sono già delineati alcuni dei temi gramsciani che lo studioso di Esslingen avrà occasione di sviluppare pienamente nel decennio successivo, vale a dire le analogie tra la filosofia di Brecht e quella di Gramsci; a partire dal rapporto tra la filosofia spontanea, popolare e quella degli specialisti fino all'importanza filosofica e politica del linguaggio, tutto ciò in vista dell'obiettivo comune ai due comunisti: il progresso intellettuale di massa.
Dalla metà degli anni Ottanta Sabine Kebir e Michael Grabek hanno iniziato ad occuparsi delle analogie tra i due intellettuali comunisti [6] , ma il contributo di Haug non si risolve in una sintesi dei rilievi già enucleati e proposti sistematicamente, per esempio, al Convegno Brecht 85 nella Repubblica democratica. Possiamo al contrario affermare che il tema del confronto tra il pensiero di Gramsci e quello di Brecht trovi qui un suo primo originale sviluppo da cui pare emergere una visione del mondo, una filosofia talmente affine al punto di cercarne piuttosto le divergenze.
L'occasione per questo confronto è rappresentata da un corposo capitolo del volume, interamente rivolto al contributo del poeta comunista al marxismo, di cui si afferma l’altissimo profilo filosofico ed analitico. Partendo dalla concezione del ruolo degli intellettuali, Haug presenta l'intellettuale non organizzato brechtiano che può essere paragonato alla guida dei lavoratori proposta da Gramsci, entrambi in rottura con visioni economistiche. Se per Brecht le istanze ideologiche non sono risolvibili in nude apparenze, ma vanno ricostruite nella loro relativa autonomia, da parte sua Gramsci si interessa alla funzione svolta dai fattori ideologici nella costituzione e nello scioglimento dei blocchi ideologici.
Conquistare le teste della masse è importante per un movimento sociale ed il lavoro del pensiero è anche lavoro attinente al linguaggio. Da questa chiave di volta inizia a dispiegarsi, prorompente, l’affinità tra il poeta di Augusta e il filosofo sardo.
Haug descrive la forza del linguaggio brechtiano, che con un lavoro «plebeo», immediatamente comprensibile e con semplici giochi di parole riesce a scagliare duri attacchi contro la classe dominante. Il linguaggio di Brecht, che è un linguaggio semplice e dei semplici, porta Haug a ripensare alle riflessioni carcerarie di Gramsci: «fast wortlich übereinstimmend mit Brecht ist seine Auffassung der Philosophie» [7] . Haug si riferisce alla filosofia popolare o filosofia spontanea, dell'uomo qualunque: ognuno nel quotidiano è filosofo. A seguire alcune citazioni che mostrano questa vicinanza, Haug riporta gli elementi quotidiani in cui la filosofia dell'uomo qualunque è contenuta, ciò che Brecht definisce filosofia della strada. A parere di Haug, con Gramsci, è inoltre possibile capire più profondamente il concetto brechtiano di semplificazione del linguaggio: il pensatore sardo ha studiato il «segreto» della Chiesa cattolica che, con un'incredibile forza di resistenza, è riuscita a far fronte agli sviluppi della società industriale, alle contraddizioni del capitalismo, allo sviluppo della scienza e alla lotta sociale. La ragione di questa forza Gramsci l'ha trovata nell'organizzazione della coesione tra gli intellettuali e i «semplici di spirito».
La lingua semplice di Brecht, cioè il suo lavoro di elaborazione dall'interno della lingua dei semplici, tocca il cuore dell'analogo compito del movimento operaio: ogni intellettuale marxista chiuso in un gergo da specialisti lavora involontariamente alla dissoluzione della prospettiva socialista del blocco politico e culturale, nonché al suo stesso indebolimento. Infine - e qui l'autore riprende le riflessioni di Gramsci - uno dei compiti più importanti per l'intellettuale organico al movimento operaio è quello di farsi comprendere di fronte alle masse: «es gibt in der neuesten deutschen Geschichte wenige, von denen man zur Lösung dieser Aufgabe so viel lernen kann wie von Brecht» [8] .
Brecht ha criticato parte di quella vecchia ideologia ridipinta di rosso che è rimasta addosso al socialismo, egli ha infatti condannato il discorso intellettuale della missione storica della classe operaia, così come ha ripulito il marxismo da altre formule tipiche del ferreo determinismo. Più nascosta che ostentata, troviamo nell'opera di Brecht una rielaborazione della concezione pratica della filosofia marxista derivata da Marx e Lenin. «Vielleicht wird man eines Tages verstehen, daß Brecht die Frage der Philosophie im Marxismus besser aufgenommen hat als alle Offizialphilosophien mitsamt ihrem Gegensatz, den kritischen Theorien» [9] . Quella di Brecht è da considerarsi in questo senso un'antifilosofia, finché l'ideologia filosofica ne rimane l'oggetto. Mentre i marxisti ufficiali pensano di riempire di contenuti vecchie forme, Brecht le abbandona. Per questo egli ha avuto bisogno della dialettica, il große Methode, salvato dal poeta tedesco dalla nuova metafisica che imperava nei manuali marxisti. Brecht, talento dialettico naturale secondo Hanns Eisler [10] , nella sua critica ai «Tui»[11] ha rifiutato il semplice passaggio dell'intellettuale dal servizio al mercato e alla classe dominante, al servizio del potere socialista. Secondo Brecht, infatti, anche nella nuova situazione rivoluzionaria torna il vecchio e per lo più non nella sua parte migliore. Il pericolo, scrive Brecht in Me-ti, di solito dura più della fuga, pertanto il problema della resistenza prima o poi diventa una questione di tenacia.
Con questi riferimenti agli spunti critici del Me-ti brechtiano, Haug conclude un capitolo del suo lavoro. Si possono già qui intravedere l'entusiasmo e il materiale grezzo utile ad un lavoro di assimilazione e maturazione volto a riconsiderare il contributo del poeta al marxismo. Questa riconsiderazione della filosofia brechtiana è a parere di Haug appena cominciata ed in questa direzione infatti a distanza di dieci anni, nel 1996, lo studioso di Esslingen darà alle stampe una monografia interamente dedicata al Philosophieren mit Brecht und Gramsci [12] .
Come accennato in precedenza, alla questione «was ist Ökonomismus» Haug risponde in maniera critica: ci si dovrebbe piuttosto domandare in che direzione vanno le nostre critiche, quando contestiamo l'economismo. L'antieconomismo è una parte fondamentale del pensiero di Lenin e Gramsci; in note risalenti alla fine del 1930, Gramsci si dedica alla critica dell'economismo a partire dall'egemonia teorizzata da Lenin. In questo contesto è concepito il primo frammento della sua critica a Bucharin, inoltre, nella politica della III Internazionale si trova quell’errore economistico che non prende in considerazione la sovrastruttura. I fronti più importanti aperti da Lenin nella sua lotta all'economismo sono stati il sindacalismo, lo spontaneismo e il riformismo, gli stessi rintracciabili nell'opera del Sardo.
Gramsci ha notato che l'economismo ha origini tanto borghesi quanto proletarie, per esempio la formula liberale secondo la quale lo Stato non dovrebbe immischiarsi nelle questioni economico-sociali è in realtà una prescrizione di politica economica, non un fatto economico: anche in un regime di libero mercato esiste un tipo di regolamentazione statale formalizzata attraverso la legge e imposta con la coercizione. Gramsci denomina questo paradosso dell'ideologia della spontaneità del mercato con l'esempio del libero mercato. Il sindacalismo ed il radicalismo di sinistra si possono accompagnare alle teorie economistiche, pregiudicando in tal modo l’emancipazione delle masse lavoratrici.
Haug rileva come per Gramsci l'economismo ponga inoltre un insieme di problemi legati ad una concezione storica determinista e meccanicistica: un tipo di fatalismo materialistico. Questa ideologia è definita dal Sardo come oppio del movimento operaio in precise fasi di debolezza. La critica all'economismo si può porre come obiettivo positivo una nuova relazione tra intellettuali e popolo,
Haug prende in considerazione la figura di Gramsci, con riferimento implicito al suo pensiero anche in altre parti della sua opera. Ricordiamo qui, soprattutto per gli sviluppi successivi, l'accenno di Haug alla figura di José Carlos Mariátegui, nominato a paragone con Mao e Gramsci, ma che ancora nel 2009 sarà preso in considerazione per la vicinanza alle teorie gramsciane [13] .
Nell'ottobre del 1986 ad Amburgo si tiene il Convegno Kultur und Politik bei José Carlos Mariátegui und Antonio Gramsci. Wolfgang Fritz Haug spiega, in un resoconto dell'incontro [14] , come sia emersa la mancanza di una traduzione sistematica dell’opera del marxista peruviano. Organizzatore dell'incontro, Ulrich Schreiber, ha saputo coinvolgere studiosi di Mariátegui e di Gramsci da oltre dieci paesi, aprendo discussioni non solo su questioni editoriali ed interpretative, ma soprattutto teoriche nel confronto tra gli aspetti politici del pensiero dei due marxisti. Gli interventi sono stati in parte introduttivi, ma sono stati anche presentati degli approfondimenti, ad esempio sulla questione religiosa da parte dei due teorici, nonché sulla questione indigena e ancora sul rapporto tra il populismo da una parte e la politica dell'Internazionale comunista dall'altra. Non per il ultimo il ruolo dell'aspetto nazionale nella strategia rivoluzionaria e il significato della questione culturale. È emerso il carattere pluralista della politica culturale e teorica nell'attività giornalistica del peruviano.
Lo studio di Mariátegui in Europa è appena iniziato, osserva Haug, il quale ritiene necessario arginare i tentativi interpretativi strumentali, per evitare letture quali quella riformista dell'opera di Gramsci, trasformato in una sorta di Croce, come indicato da Giorgio Baratta riguardo all'appropriazione di Gramsci da parte di Peter Glotz: se ciò accadesse si rischierebbe di incontrare un Mariátegui culturalista con tratti romantici amerindi.
Nel suo Die Faschisierung des bürgerlichen Subjekts [15] , Haug evidenzia come nei Quaderni Gramsci abbia ricercato i cambiamenti e le riforme nell'insieme dei modi di produzione e di vita durante la razionalizzazione tayloristica [16] . Già dal I Quaderno del 1929-1930 il Sardo accenna all'interesse degli industriali americani sui rapporti sessuali dei loro dipendenti e senza giri di parole sostiene che la mentalità puritana vela una necessità evidente: regolare l'attività sessuale affinché la produzione sia intensiva. Nel quaderno 22 del 1934 ritorna questo riferimento, integrato da alcune osservazioni sull'interesse degli industriali per le famiglie dei dipendenti e il proibizionismo per legge federale. Sebbene l'apparenza sia quella di puritanesimo, Gramsci avverte di non lasciarsi trarre in inganno: questa è in verità la produzione di un nuovo tipo di uomo, così come richiesto dalla razionalizzazione della produzione. Tali osservazioni, raccolte sotto il tema di Americanismo e fordismo, trattano quelle questioni che emergono nel passaggio dall'individualismo della vecchia economia all'economia programmatica, sotto la pressione della caduta tendenziale del saggio di profitto. L'obiettivo è manipolare e razionalizzare le forze subalterne ma anche alcuni settori delle forze dominanti.
Haug osserva come in recenti studi di Joachim Hirsch [17] si trovi sotto il termine «fordismo» una fusione della produzione taylorizzata con il lavoro razionale, un modello di consumo, differente dalla concezione gramsciana, che Franco de Felice ha definito «ein Instrument zur Analyse weniger rationalisierter, weniger entwickelter Gesellschaften»[18], ma in una fase di lunga durata.
Ciò che interessa a Gramsci di questo fenomeno è soprattutto la statalizzazione di alcune funzioni morali ed è esemplificativa la sua analisi del proibizionismo: alcol e sesso incombono come una morbosità dove il lavoro ripetitivo diventa ossessione. Un'ideologia tradizionalista diventa così veicolo di una modernizzazione capitalistica.
In uno scritto sulla politica culturale gramsciana, con dedica a Carl-Henrik Hermansson [19] , studioso dell'opera di Peter Weiss, Wolfgang Fritz Haug riporta un passo dal terzo volume di Pluraler Marxismus, in via di pubblicazione; si tratta della questione della politica culturale gramsciana, che lo studioso, come ha già abituato i suoi lettori, vuole sciogliere con acribia filologica. Per far ciò, nella traduzione di Gramsci è sempre necessario coadiuvare la traduzione quasi letterale dell'espressione con la spiegazione del concetto, talvolta anche dei principi che determinano la differente visione d'insieme. Così accade anche nel caso della complessa traduzione della categoria gramsciana di «società civile» [20] , che in tedesco assume un significato differente rispetto alle lingue romanze e slave. Per spiegarne le caratteristiche di elemento sovrastrutturale l'autore utilizza anche il contributo che Norberto Bobbio presentò al Convegno cagliaritano del 1967 [21] ; da ciò deriva una differenza sostanziale rispetto a Marx, che si chiarisce nell'uso delle espressioni inglesi «civil society» e «bourgeois society»; quest'ultima inclusa da Marx nella struttura, mentre per Gramsci appartiene alla sovrastruttura, un aspetto che Kallscheuer fa risalire alla gramsciana «Hunger nach Idealismus» [22] .
Haug rileva quanto il concetto di società civile sia legato a quello di cultura e alla questione dell'egemonia; quest'ultimo, nel significato che oggi abbiamo appreso dai Quaderni ha avuto una complessa gestazione e l'autore rimanda al contributo di Claudia Mancina apparso in Germania come introduzione alla monografia di Gruppi sull'egemonia gramsciana [23] . Qui Haug cita Frank Deppe, che identifica la questione dell'egemonia con quella del potere [24] .
Nella II Internazionale la questione dell'egemonia culturale può già vantare una tradizione, per esempio, Rosa Luxemburg nel 1903 spiega la stagnazione teorica nel marxismo con l'impossibilità strutturale del movimento operaio socialista di premettere al proprio dominio politico il dominio intellettuale, così da opporsi alla cultura borghese con una propria nuova scienza e arte; perentoria, la Luxemburg spiega che dentro questa società e finché ne permangono le fondamenta economiche, non vi può essere altra cultura che quella borghese [25] . La Luxemburg attendeva un cambiamento finale con il concorso dello sviluppo economico e della spontaneità delle masse. Con la sua critica all'economismo, Lenin si è scontrato con questa concezione, ma anche Gramsci ritiene fatale la confusione tra questione egemonica e quella del potere.
Per un politico come Peter Glotz, continua Haug, la questione dell'egemonia si può anche ridurre al raggiungimento di un'influenza nell'ottica elettorale. Questo riduzione di peso, nel senso pragmatico della questione, è posta da Habermas accanto al modello della «terza arena»: in cima si trova l'arena politica, sotto questa molteplici gruppi ed attori collettivi si contrappongono o si alleano in lotta per l'accesso ai mezzi di produzione e comunicazione, mentre nella terza arena non si litiga per il denaro o il potere, ma sulle definizioni. Si tratta precisamente di flussi di comunicazione, difficilmente disponibili, che determinano la forma della cultura politica e con l'aiuto di definizioni della realtà si compete per raggiungere ciò che Gramsci ha chiamato egemonia culturale [26] . Ci si allontana dalla visione di Gramsci se da una parte si tralascia la rottura con l'ideologia dominante e il lavoro di creazione di una nuova cultura e dall'altra si esclude una svolta in contrapposizione all'economismo. In nota, Haug spiega come Habermas abbia placato queste contrapposizioni, ma non abbia colto la direzione in cui va l'egemonia culturale gramsciana.
La lotta per una nuova cultura si esprime anche in un nuovo modo di vivere, è la lotta per una nuova civiltà ed Haug osserva come questi elementi spesso si presentino in Gramsci come sinonimi. La questione egemonica è anche liberazione, un'emancipazione di tutti attraverso il dominio di classe, intrinsecamente legata alla questione della civiltà per un nuovo modo di vivere che inizia con l'elevazione dei subalterni, non si tratta infatti in nessun modo dell'appropriarsi della cultura dominante, ma di respingere quella egemonia culturale. Inoltre, continua Haug, per Gramsci la creazione culturale non è da confondere con quella artistica.
Haug sceglie con molta cura i termini tedeschi con cui tradurre i concetti gramsciani, per questo, ad esempio, per politica culturale preferisce «Politik des Kulturellen» a «Kulturpolitik», che indicherebbe una politica sovvenzionata dallo Stato.
Per dar vita al cambiamento auspicato da Gramsci, la massa si può emancipare solo con il sapere e con il comprendere, mentre gli intellettuali devono sentire l'elemento popolare.
Se per Brecht gli intellettuali sono pericolosi come un sigaro sbriciolato nella zuppa, per Gramsci il problema si pone quando essi non «sentono» come la popolazione. In mancanza di questo rapporto tra intellettuali e massa, i contatti sono ridotti a mera burocrazia o formalità e gli intellettuali diventano una casta o un clero. Senza la rispettiva conoscenza e sensibilità non è possibile inverare nessuna cultura di liberazione sociale, solo sull'asse intellettuali-popolo si invera la vita d'insieme: questo rappresenta la forza sociale con cui costruire il blocco storico.
Quando Gramsci parla del «popolare», spiega Haug, non intende nulla che abbia a che fare con il popolaresco o con quello che si intende con la trasfigurazione delle subculture.
Il pensiero di Haug arriva alla società coeva: senza la costruzione di una cultura alternativa non si può arrivare all'autodeterminazione, si rimane subalterni, o, nella società dei due terzi, consumatori.
Il percorso di Haug, a differenza di quello di Sabine Kebir, continuerà anche nei decenni successivi a dare risultati sempre più rilevanti per lo studio e la diffusione di Gramsci prima nell'area tedesca e poi, con sempre maggiore autorevolezza, anche a livello internazionale.
[1] Wolfgang Fritz Haug, Zu einigen theoretischen Problemen der Diskussion über die Kultur der Arbeiterklasse, in «Das Argument», XXI, n. 115, 1979, pp. 342-351; il testo è stato originariamente presentato al Convegno Kulturelle Bedürfnisse der Arbeiterklasse organizzato dall’Institut für Marxistische Studien und Forschungen a Francoforte nell’ottobre 1977.
[26] Cfr. Jürgen Habermas, Die neue Unübersichtlichkeit. Kleine politische Schriften, Francoforte, Suhrkamp, 1985, p. 159