Wilsonismo per le dame

«Avanti!», ed. piemontese, anno XXIII, n. I, I° gennaio 1919. Nuova attribuzione.

La democrazia wilsoniana si batte col conservatorismo wilsoniano; il wilsoniano on. Bissolati incrocia il brando col wilsoniano on. Sonnino[1]; i salotti e i caffè wilsoniani di Milano si schierano in linea di battaglia contro i salotti e i caffè wilsoniani di Roma e il wilsonismo meneghino scaglia contro Roma pallottole di « Corrieri » e di « Secoli » e il wilsonismo romanesco risponde con una nutrita pallottoleria di « Giornali d'Italia », di « Tribune » di « Tempi ». Ma, la Dio mercé, l'Italia rinnovata non vive solo piú a Milano e a Roma; caffè e salotti wilsoniani esistono anche a Torino, tutta l'Italia, a Bologna, a Firenze, a Napoli, a Palermo, è wilsoniana, il wilsonismo è diventato l'autocoscienza della Nazione, esprimentesí nelle denominazioni delle vie e degli aperitivi e nelle cittadinanze onorarie.<!--more-->
Tutta l'Italia dei caffè e dei salotti wilsoniani partecipa adunque alla « consultazione » sul vero wilsonismo, tutta l'Italia si è divisa in due immani polsi che si protendono oltre le Alpi per essere tastati dallo stesso Wilson, appena (è questione di giorni) si avvicinerà alla frontiera: in quale dei due pulsa il nobile sangue della « vera » democrazia? Chi, Bissolati o Sonnino, è il profeta italiano? Da quale minareto giornalistico si diffonde la voce annunziatrice del vero verbo? I muezzin sono Albertini e Pontremoli o Bergamini, Malagodi e Naldi? O è Frassati, per caso?
Il problema è ardente: esso è il problema della verità in tema di democrazia, ed è inoltre il problema del sapere su quale libro dei cuochi debbono essere compilati i menù e su quale testo sacro i brindisi dei futuri prossimi banchetti. Il problema è addirittura incandescente: pare sia il problema della guerra e della pace, del passato e dell'avvenire, dell'equilibrio europeo con la gara agli armamenti o della Società delle Nazioni con la pace perpetua, della tirannide o dell'autodecisione dei popoli. Bissolati è il Martello dell'autodecisione ed è anche l'alfiere del vessillo nazionale per le future lontane lotte elettorali antibolsceviche; Sonnino è la Patria senz'altro, è il Territorio, la Stirpe, la Storia, la Geografia, la Geologia dell'Italia, concetti assoluti ' senza i quali il wilsonismo sarebbe mera astrazione demagogica.
Non meravigliatevi se la rissa sia furiosa e la fiera rumoreggi da assordare. Il rumore serve a mascherare le « moltitudini silenziose »; la fiera serve a distrarre l'attenzione dal silenzio opprimente della casa. Perché, sempre, accanto alla fiera c'è la casa, dove le donne lavorano, tranquille in apparenza, a organizzare la vita familiare con stento e dolore: dove rientrano la sera gli uomini che hanno lavorato a organizzare la vita sociale rudemente affaticandosi. E nella casa Sonnino e Bissolati sono due individui che nessuno conosce, sono due individui dei quali parlano solo i giornali che avvolgono sempre minor quantitá di cibo, che fanno bruciare sempre minor quantitá di legna da riscaldamento. La casa non ha espresso ancora la sua opinione, non ha foggiato ancora la sua volontà. Ma anche la casa è wilsoniana, cioè tende all'autodecisione, cioè tende a dare alla Società degli Uomini una forma, per la quale la decisione sia decisione e si inveri in istituti che garantiscano permanentemente la decisione stessa, che permettano alla volontà di imprimere alla storia il suo ritmo, il ritmo del lavoro, della creazione benefica, del Bene e del Bello universali. Il wilsonismo della fiera è gazzarra di sfaccendati, è ressa di poveri di spirito che confondono il caffè e il salotto con la Società, che si trastullano amabilmente (anche se i visi sono feroci) con le formule, che millantano un credito illimitato sulle innumere coscienze gonfie di dolore le quali ancora non hanno dato organica espressione ai loro desideri, ai loro bisogni di pace, di lavoro, di attività creatrice non sperperata dalle fiere rumorose. Questo wílsonismo è ben diverso dalla filosofia per le dame che i Barnum della politica e del giornalismo italiano credono avere infuso nello spirito popolare italiano, eterno pupillo che non deve intervenire coi suoi metodi e i suoi procedimenti alle discussioni e alle deliberazioni: questo wilsonismo vuole abolire il caffè, il salotto, il giornale come uniche forme di espressione della Società degli Uomini, per sostituirle con la Società stessa organizzata in modo adeguato per potere in ogni istante dettare se stessa a se stessa le leggi del proprio vivere comune, per potere costruire il suo destino e il suo avvenire con la stessa volontà che aziona la macchina e l'aratro e compagina la famiglia.
Ma la fiera non comprende l'interiorità della casa, non concepisce questa volontà nuova che vuole garantirsi da ogni sorpresa e da ogni catastrofe, e infuria, ed esalta il suo wilsonismo per le dame, per le dame di Milano o di Roma, di Bologna o di Torino, di Palermo o di Napoli, per le pie dame che fanno la beneficenza ai poverelli nazionali sgranocchiando pasticcini e sorbendo il thé: thé americano, si capisce, marca pura degli Stati Uniti.

[1] Il 28 dicembre 1918 dopo un violento scontro col ministro degli esteri Sonnino sulla questione dei rapporti con gli jugoslavi, il ministro Bissolati aveva rassegnato le dimissioni dal governo.

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