Senza crisantemi[1]

«Il Grido del Popolo», n. 588, 30 ottobre 1915, nella rubrica «Note d'un passante». Raccolto in Scritti 1915-1921, 1-2.

Novembre ritorna coi suoi cieli bigi e le sue piogge uggiose e le sue nebbie tristi. Giornate brevi, avare di sole e di luce. La Chiesa, che conosce a fondo la natura umana tenacemente avvinta alla terra e alle sue cose, di proposito ha voluto dedicare il secondo giorno di novembre alla commemorazione dei morti, dopo aver fissato il giorno avanti per l'esaltazione dei beati. Forse nessun giorno dei morti degli anni precedenti avrà tenuto sospeso, tra la terra e il cielo, tra la luce d'una beatitudine assurda e le tenebre di una infelicità senza fine, un numero di anime come quello che si potrebbe contare al prossimo 2 novembre. Perché in nessun anno di quelli travolti nel vortice del passato e per nessuna calamità si ebbe mai tanti morti quanti si contano quest'anno [...][2].
Ah, lo spirito! Il mezzo più sicuro per valutarne la situazione è quest'aria di misticismo, di superstizione e di sgomento insieme che ventila per ogni dove, in repubblica come in monarchia, presso i credenti di tutte le fedi ultraterrene e i devoti di tutti i culti del passato. Un misticismo, una superstizione, un ritorno all'ineffabile entità errante nello spazio e nel tempo: una tendenza, insomma, a rimpicciolire la personalità umana dentro il turbine degli avvenimenti. Dio o il Fato. Ecco i termini estremi per le spiegazioni ultime. Negli spazi intermedi la volontà umana vive la sua più profonda tragedia, lancinata come deve essere dall'esigenza di affermarsi e al tempo stesso costretta a soggiacere alla forza inesorabile degli eventi. Far precedere gli eventi da Dio o dal Fato è già un conforto. Conforto soggettivo ed esiziale ai fini della comunità. Perché questa potrà elevarsi agli stadi vagheggiati dalle anime generose, assetate di libertà, di giustizia, di felicità per tutti e per ciascuno, solo attraverso il dolore consaputo, attraverso la certezza che oltre la vita tenue e breve, nello spazio e nel tempo, né libertà, né giustizia, né felicità è possibile raggiungere.
Lunedi - 2 novembre - accorreranno a migliaia i credenti in un'inutile fede assurda, i fedeli della bella illusione di un'immortalità imbecille, accorreranno, pregando, piangendo, sperando al cimitero. Migliaia e migliaia di spoglie assenti, lontane, sfatte nelle fosse comuni, là sulle Alpi, giù nei burroni, lungo le valli e i pianori della frontiera dove si combatte e si muore incessantemente, saranno rievocate dai congiunti con più intenso rimpianto in questo prossimo giorno dei morti. E per quanti dolenti quella lontananza, quella assenza dei loro estinti in guerra dai nostri cimiteri illuminati, infiorati, prolungherà l'angoscia. Lo spirito onnipresente, la gloria del soldato, la bellezza del sacrificio, la fotografia e l'elogio sul giornale che esalta i caduti, tutte queste cose messe insieme ed altre ancora migliori, come la speranza della eterna beatitudine per il dovere compiuto, che la stessa Chiesa cattolica assicura nei riguardi della guerra tra i due Stati cattolici, Austria e Italia, a chi uccide e a chi è ucciso, niente di tutto questo può mitigare il dolore dell'assenza, della lontananza del corpo morto. Un dolore antropomorfico: e sia! Ma è appunto in esso che gli spiriti liberi scorgono l'assurdità della fede nell'ai di là.
Tutto il discorso è fatto per arrivare a questa del resto ovvia conclusione che lo spirito... dello spirito, cioè l'assoluta volontà di se medesimo, è ancora in chi non s'illude e non illude più. In chi ha il senso del limite tragico della vita e s'accinge a viverla nella sua pienezza. Pensare che dopo la vita è il nulla, legge comune agli esseri tutti, ed operare come se non si dovesse mai morire...
Si domanda il poeta: All'ombra dei cipressi e dentro l'urna è forse il sonno della morte men duro? [3]. Nel carme più profondo ed austero del secolo scorso è pure la risposta che per molti del secolo nuovo, per chi non crede né a Dio né al Fato, non può riescire tranquillante e consolante.
Molte conversioni e involuzioni incontrerà il nuovo giorno dei morti. Pure per la libertà degli spiriti liberi, ma molto liberi, meglio l'inquietante certezza del nulla oltre la vita. Una certezza che ci dà il senso della superiorità quand'anche ci toglie la dolce poesia della morte e la mesta armonia che quella governa, coi suoi fiori, coi suoi lumi, le sue preci, le sue illusioni e le sue consolazioni.
Il giorno dei morti per me che non dò crisantemi ad alcuna tomba, vorrei che fosse un altro giorno di vita più forte, più attiva, più violenta. Per me e per tutti...

[1] Si può considerare come probabile che Gramsci sia l'autore di questo articolo: suo appare il pensiero, che ritroviamo in altri scritti di poco posteriori (cfr., per es., Stregoneria, pp. 174-75 e La storia, pp. 513-14).
[2] Tre righe censurate.
[3] Foscolo, I Sepolcri, 1-3.

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