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La maschera del cattivo

 

Dalla mia parete pende un lavoro giapponese, di legno,
maschera di un cattivo demone, laccata d'oro.
Con senso partecipe vedo
le vene gonfie della fronte mostrare
quanto sia faticoso esser cattivi.[1]

 


 

Ogni volta che mi è capitato di vedere delle persone che per il dolore o le preoccupazioni si torcevano le mani oppure lanciavano accuse, ho sempre pensato che esse non capivano fino in fondo la gravità  della loro situazione. Infatti dimenticavano completamente che non c'era rimedio, non si rendevano ancora conto che non soltanto erano state abbandonate o offese da Dio, ma che Dio non esisteva affatto e che un uomo solo su un'isola che si metta a fare una sommossa non può essere che un pazzo.[2]

 


 

Sono di nuovo allegro perché ho visto che a chi è buono non può succedere niente. Lui paga. E' così semplice.
Gli chiedono i prezzi più pazzeschi ma l'uomo buono gli scoppia a ridere in faccia e li paga,  paga i prezzi e paga i cattivi e la loro rovina e la loro triste discesa all'inferno. Mettersi a litigare con un malvagio? Ci mancherebbe altro! Dio lo ha condannato, bisogna cercare di levarselo di torno e nessun prezzo è troppo altro per questo.[3]

 


 

[1] Bertolt Brecht, Poesie e canzoni, a cura di Ruth Leiser e Franco Fortini, Torino, Einaudi, 1971, p. 158.

[2] Id., Diari 1920-1922. Appunti autobiografici 1920-1954, a cura di Herta Ramthun, introduzione di Luciano Zagari, traduzione di Bianca Zagari, Torino, Einaudi, 1983, p. 190

[3] maggio 1920 circa, in seguito alla morte della madre avvenuta il I maggio, passi frammentari sotto il titolo L'Offeso, in Id., Diari 1920-1922... cit., p. 192.

 

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