53.03 - Bellini, Fulvio; Galli, Giorgio, Storia del Partito comunista italiano
Bellini, Fulvio; Galli, Giorgio, Storia del Partito comunista italiano, Milano, Schwarz, 1953, 433 pp.
Riedito in:
Giorgio Galli, Storia del Partito comunista italiano, Milano, Schwarz, 1958, 374 p.
In radicale contrapposizione rispetto alle interpretazioni «ufficiali», il cui obiettivo polemico diretto è senza dubbio il Quaderno di «Rinascita» del 1952 Trent'anni di vita e lotte del P.C.I. (->52.01), questo volume è il primo tentativo di ricostruzione organica della storia del partito dal punto di vista dei settori sconfitti nelle lotte interne degli anni Venti; l'attendibilità scientifica resa dubbia dalla mancanza di indicazioni delle fonti e da alcune inesattezze vistose, testimoniano comunque il carattere pionieristico del lavoro, in una situazione caratterizzata dalla scarsità di documenti, dalla chiusura al pubblico degli archivi e da un costume del quadro dirigente comunista cauto e autocensorio.
«Oggi la storiografia ufficiale fa di Antonio Gramsci il percursore, il fondatore, il capo del partito comunista sin dai giorni incandescenti di Livorno», mentre «in realtà, dal punto di vista strettamente politico, la figura di gran lunga dominante (…) sino alla Conferenza nazionale di Como» fu quella di Bordiga (p. 191): per la prima volta è sottolineato, in modo marcato e argomentato, il ruolo di primissimo piano di Bordiga dalla scissione di Livorno al Congresso di Lione. Fino al Congresso di Roma del 1922, sostengono gli aa., non vi sarebbe stata «alcuna divergenza di orientamento tra coloro che formavano la maggioranza del partito e in particolare tra la cosiddetta corrente astensionista di Bordiga e il gruppo dell'"Ordine Nuovo"» (p. 52).
Solo dopo il suo soggiorno a Mosca, AG prenderebbe le distanze da Bordiga sul terreno dei rapporti con l'Internazionale, apparendo così come «l'uomo di Mosca» che si inserisce nel processo di burocratizzazione del movimento comunista internazionale giungendo, con l'ausilio di sistemi burocratici e coercitivi a conquistare la direzione del PCd'I. Il comportamento politico di AG sarebbe quindi precursore della prassi stalinista, perfezionata in seguito dalla tattica di Togliatti; gli aa., inoltre, non rilevano alcuna dissonanza tra i due leader torinesi, accettando dunque l'immagine ufficiale dell'agiografia comunista.
Il libro si occupa di AG solo fino al momento dell'arresto: gli vengono attribuite le doti di «acuto pensatore e tenace combattente», ma anche «talune lacune di impostazione generale che indubbiamente hanno caratterizzato la sua personalità e che si risolvono in autentici aspetti negativi dal punto di vista politico» (p. 16), è infatti ripresa la vecchia accusa bordighiana che vedeva in Gramsci «un intellettuale di stampo classico, con tutte le virtù ma anche con tutti i difetti di un intellettuale piccolo-borghese, non esclusa, la tendenza ai costumi un poco bohémien» (p. 129) e dal punto di vista teorico G. e B. riprendono la critica del dirigente napoletano all'esperienza consiliare: l'assenza del problema della rottura dell'apparato dello Stato e la presenza di elementi produttivistici non antagonisti ai rapporti di produzione capitalistici e alle istituzioni borghesi.