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Caratteri italiani

In «Avanti!», anno XXI, n. 64, 5 marzo 1917, cronache torinesi. Raccolto in SG, pp. 93-94, CF, pp. 75-76.

Una delle facce più appariscenti e vistose del carattere italiano è l'ipocrisia. Ipocrisia in tutte le forme della vita: nella vita famigliare, nella vita politica, negli affari. La sfiducia reciproca, il sottinteso sleale corrodono nel nostro paese tutte le forme di rapporti: i rapporti tra singolo e singolo, i rapporti tra singolo e collettività.
L'ipocrisia del carattere italiano è in dipendenza assoluta con la mancanza di libertà. È, in fondo, una forma di resistenza. L'ipocrisia nei rapporti tra singolo e collettività è una conseguenza dei paterni governi polizieschi che hanno preceduto e hanno seguito l'unificazione del regno d'Italia. L'ipocrisia nei rapporti tra singolo e singolo è una conseguenza dell'educazione gesuitica che si è impartita e si continua ad impartire nelle scuole e nelle famiglie, e che scaturisce spontanea dall'esperienza della vita quotidiana.
Gli italiani, per cancellare questa turpe macchia dal loro carattere, avrebbero bisogno di libertà, di libertà sconfinata. Avrebbero bisogno di maggiori garanzie, per la loro indipendenza morale, di maggiori garanzie della loro integrità e sicurezza corporale. Il problema della libertà, politica, religiosa, di coscienza, di parola, di azione, è in Italia più vivo e più impellente che in qualsiasi altro paese. Più che in Russia e in Germania, certamente, dove, se esistono meno libertà apparenti che in Italia, l'uomo, come tale, come carattere morale, è libero, perché non è schiavo di se stesso, non è schiavo della tradizione gesuitica[1] e borbonica.
Una delle manifestazioni di questa ipocrisia (mancanza di coraggio morale) è la lettera anonima. In Italia la lettera anonima è una vera e propria istituzione. In questi ultimi tempi si è consumato molto inchiostro per battere in breccia la trista abitudine della lettera anonima. Persino l'illustrissimo generale Luigi Cadorna, diventato, per grazia di dio, il direttore spirituale delle coscienze italiane, ha scritto un pezzo (in sé bellissimo, del resto) contro la lettera anonima2[2]. Ma tutto è vano. La mentalità borbonica rapina le coscienze. La coscienza poliziesca dei rapporti sociali strozza ogni tentativo di liberazione morale.
Un libero cittadino assiste a delle scene disgustose e bassamente animalesche. Dei gerarchi, abusando della loro autorità incontrollata, si permettono con delle donne, loro dipendenti, un contegno da Don Rodrighi da strapazzo. La licenza più sfrenata di linguaggio e di attitudini fisiche prende il posto dei rapporti soliti tra superiori e subalterni. Il libero cittadino ne è rivoltato. Egli crede che sia suo dovere intervenire per cercare di por fine allo sconcio. Il libero cittadino è un uomo moderno, è un uomo che si è sciolto dai vincoli dell'ipocrisia italiana. Sa che esiste potenzialmente un istituto di controllo. Scrive una lettera, con tanto di firma chiara, intellegibile, denunzia i fatti in modo sicuro, incontrovertibile. Crede di aver compiuto cosi integralmente il suo dovere di cittadino e di uomo. L'istituto di controllo procede: accerta i fatti, prende misure disciplinari contro i mandrilli disgustosi. Ma l'istituto di controllo è costituito d'italiani: la mentalità poliziesca e gesuitica guida i suoi procedimenti. Il Ubero cittadino, che ha compiuto il suo dovere, viene privato del suo impiego, viene denunziato alla pubblica sicurezza, viene incarcerato.
Così la mentalità poliziesca e gesuitica premia quei cittadini che seguono la via diritta della franchezza, della sincerità, che si assumono la responsabilità delle loro azioni, per ciò che in esse ci può essere di punibile. Li stronca completamente.
[...][3].

***


[1]     Trasparente richiamo alla polemica condotta tra il 1854 e il 1856 da Bertrando Spaventa contro i gesuiti della «Civiltà cattolica».
[2]    Nell'estate 1916 Luigi Cadorna aveva diramato una circolare ai comandi d'armata per porre termine alla «scandalosa vergogna delle lettere anonime assunte a sistema di denuncia e di controllo». La circolare era stata pubblicata dai quotidiani e aveva suscitato una vivace polemica (cfr., per esempio, II generale Cadorna contro le lettere anonime, in «Il Momento», 3 settembre 1916).
[3] Dodici righe e mezza censurate.

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