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Lo Stato e l'utile dei cittadini

In «Avanti!», anno XXI, n. 98, 8 aprile 1917, cronache torinesi. Nuova attribuzione. Lo spunto critico riguardante il «socialismo di Stato», che diverrà per Gramsci occasione di aperta polemica nel 1918 al momento della costituzione della cosiddetta Commissionissima per i problemi del dopoguerra, e la peculiare argomentazione, ci sembrano elementi sufficienti per una fondata attribuzione. Si veda altresì il corsivo del 21 settembre 1918 (vol. IlI), il cui titolo: L'idolo dello Stato, ripete una analoga espressione usata nel penultimo capoverso del presente articolo; CF, pp. 118-120.

Molti dei nostri compagni sono ancora imbevuti delle dottrine sullo Stato che ebbero molto voga negli scritti socialisti di vent'anni fa. Quelle dottrine furono costruite in Germania, e forse in Germania avranno la loro giustificazione, sebbene noi crediamo poco a una qualsiasi loro giustificazione, da un punto di vista socialista, in qualsiasi paese. Certo è che in Italia, paese anche meno parlamentare della Germania, per il malcostume politico imperante e per la mancanza di una coscienza parlamentare, lo Stato è il maggior nemico dei cittadini (della maggioranza dei cittadini) e ogni accrescimento dei suoi poteri, della sua attività, delle sue funzioni, equivale sempre a un accrescimento del malessere, della miseria dei cittadini, a un abbassamento generale del livello di vita pubblica, economica e morale.
Lo Stato italiano non si preoccupa mai dell'utile della maggioranza; si preoccupa dell'utile del fisco o dell'utile di una singola categoria privilegiata. L'utile del fisco, in ultima analisi, coincide anch'esso con l'utile delle categorie privilegiate. Due comunicati dei giornali di questi giorni provano ancora una volta la verità di questo stato di cose.
Il ministro dell'Interno, rispondendo per iscritto a una interrogazione che chiedeva se non si riteneva prudente soprassedere alla chiusura di alcune farmacie colpite da una legge recente, dichiara che ormai questa legge deve ritenersi definitiva e che a Torino per omnia saecula saeculorum avranno diritto di esercizio quelle farmacie che la legge ha dichiarato legittime[1]. Cosi l'esercizio della farmacia è stato tagliato fuori dallo sviluppo che si è determinato fatale nelle altre forme economiche. Una determinata forma economica è fissata. La legge diventa la legittimazione di un privilegio, di un monopolio. L'utile dei cittadini è subordinato all'utile di una ristretta categoria. Questa, non avendo più da lottare con possibili concorrenze, fisserà i prezzi che le piacerà, porrà in vendita quei soli prodotti che le piacerà. I prezzi e la qualità dei prodotti saranno quelli che più converranno ai farmacisti, non quelli che più converranno ai cittadini. È reso impossibile il passaggio dall'arte medioevale alla moderna forma capitalistica. Gli speziali, per un complesso di cause, sono sopravvissuti quasi integralmente nel loro ordinamento corporativistico. La legge ormai sanziona in eterno il privilegio dell'arte. Sono resi impossibili, nelle grandi città italiane, quei grandi empori farmaceutici che sono sorti nelle città inglesi, facendo scomparire in parte il minore esercentato, con utile grandissimo dei consumatori. L'intrufolarsi dello Stato nell'attività economica dei privati ha condotto a questo risultato: ha procurato il danno dei consumatori, ed ha fermato l'evoluzione delle forme barbariche di produzione e di scambio.
Un'altra prodezza dello Stato italiano si è verificato nel recente monopolio dei prodotti dolcificanti. Tra breve sarà finalmente posto in vendita lo zucchero saccarinato[2]. Si dice che esso ha una potenzialità dolcificante tre volte maggiore di quella dello zucchero ordinario. E ammettiamo anche che sia cosi. È giustificato tuttavia il suo prezzo di lire 5,50 al chilogrammo? La saccarina ha solo potere dolcificante, manca completamente di potere nutritivo. È, per cosi dire, zucchero voluttuario, non nutrimento dell'organismo. È un surrogato molto scadente, dal punto di vista pratico, dello zucchero. Ma, date le abitudini, è necessario, indispensabile. Lo Stato lucra sulla carestia ai fini del fisco. Ma cosa vuol dire «ai fini del fisco»? Lo Stato tende a raggiungere il pareggio dei bilanci. Potrebbe raggiungere questo scopo tassando la ricchezza consolidata, il grosso reddito, oppure espropriando qualche decimo della ricchezza nazionale. Ma lo Stato borghese italiano evita con ogni cura di ricorrere a queste sorgenti di cespiti. Preferisce le vie traverse, preferisce gravare indirettamente sulla massa anonima. I monopoli sono diventati l'ultimo ritrovato del fiscalismo borghese. Essi non sono improntati in nessun modo ai caratteri che i dottrinari loro assegnano: sono semplicemente valvole di sicurezza per la pressione tributaria sulla ricchezza borghese. Servono allo Stato per mantenere intatto il privilegio delle ristrette categorie di cui lo Stato stesso è prigioniero. Con la lustra della statizzazione che serve di zuccherino per gli idolatri dello Stato.
Il prezzo dello zucchero saccarinato dimostra in anticipo a quali fini dovranno servire i monopoli di Stato minacciati per il dopo guerra. L'utile dei cittadini non c'entra affatto. La maggioranza dei cittadini non avrà mai un amico nello Stato borghese: essa rimarrà sempre la materia da ingrasso, corvéable et taillable à merci dalle caste che detengono il potere.


[1] Cfr. Un'interrogazione in favore delle farmacie libere, in «La Stampa», 7 aprile 1917.
[2] II monopolio di Stato della saccarina era stato introdotto nel febbraio 1917.

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