Donate

You like this project?


or/and join!

 

Le tessere e la favola del furbo

In «Avanti!», anno XXI, n. 59, 28 febbraio 1917, cronache torinesi; Raccolto in CF, pp. 62-65.

C'è una novellina popolare, contenuta nella raccolta dei fratelli Grimm, che ritorna in mente in questi giorni, mentre i nostri solertissimi civici amministratori annunziano di stare per introdurre le tessere per lo zucchero. È la novella di Gianni il furbo[1].
Gianni, come tutti i furbi di questo mondo, è un solennissimo imbecille. Va a trovare la sua conoscente, Ghita, la prodiga, e Ghita gli regala uno spillo. Gianni per non affaticarsi, nel ritornare a casa, infila lo spillo in un carro di fieno e cosi non lo ritrova più. La madre gli dice: avresti dovuto infilare lo spillo nella giacchetta. Gianni ritorna dalla Ghita, e ne ha in dono un lungo coltellaccio. Istruito dall'esperienza, non infila il coltellaccio nel carro di fieno; lo infila invece nella giacca, come uno spillo. «Avresti dovuto metterlo sulla spalla», gli suggeriva, dopo averlo rimproverato, la madre. Gianni il furbo ritorna dalla Ghita: ne ha in dono un vitellino vivo. Ammaestrato dall'esperienza, si carica il vitello sulle spalle, e cosi si sloga una spalla e strozza il vitello. «Avresti dovuto legarlo a una corda, e tirartelo dietro», dice al solito la saggia madre. E Gianni ritorna dalla Ghita; ne ha in dono un quarto di porco; lo lega a una corda e lo trascina dietro, facendoselo smangiucchiare dai cani e imbrattandolo di lordura. E cosi continua nella sua furberia, sempre coerente a rovescio con i dati dell'esperienza, sempre raggiungendo il rovescio di ciò che si proponeva, fino a quando, nella persona del sindaco Rossi, e dei suoi simili, decise di introdurre l'uso della tessera per lo zucchero, quando lo zucchero era completamente sparito dal mercato, e si propose di estendere l'uso della tessera alla carne e al pane, quando carne e pane saranno alla loro volta spariti.
Ma c'è una differenza tra la furberia di Gianni e la furberia del sindaco Rossi e simili. Il Gianni della favola danneggià solo se stesso, copre di ridicolo solo se stesso. Il Gian salsiccia della realtà, il sindaco Rossi, è meno sciocco di quanto possa sembrare. Intendiamoci: il suo atteggiarsi, il suo modo di procedere è in tutto e per tutto simile a quello di Gianni: l'apparenza e la realtà sono identici nei due. Cambiano gli effetti. La sciocchezza del Gian salsiccia torinese non circoscrive i suoi effetti nella persona dell'autore; anzi non intacca neppure il benessere e la felicità che in questa dolorosa valle di lacrime egli è riuscito a procurarsi. E siccome nella vita collettiva hanno specialmente importanza gli effetti, più che l'apparenza dell'azione, così si può affermare che il procedere sciocco di Teofilo Rossi abbia degli effetti intelligentissimi nella realtà della vita sociale e dei rapporti tra le classi.
Noi siamo alquanto scettici sulla portata reale delle leggi economiche[2]. Crediamo che esse siano leggi solo in quanto dipendono da un gran numero di volontà borghesi singole, le quali non tentano neppure di mettersi d'accordo per trasformarle, perché la trasformazione vorrebbe dire sacrificarsi sul serio e non solo a parole. Trasformare le leggi economiche vorrebbe dire rinunziare al privilegio della ricchezza costituita che, lasciando libera la concorrenza fino all'infinito, permette il polarizzarsi graduale dei consumi verso le classi ricche, e taglia fuori dal consumo quelli che a questa concorrenza non possono resistere per l'esiguità del loro reddito-salario.
Questa libera concorrenza potrebbe anche essere fermata almeno in parte da atti d'imperio. Ma è qui che entra in iscena Gianni il furbo. Gli atti d'imperio sono decretati quando la loro efficacia è rovesciata. La quantità di consumi disponibile va gradatamente scemando. Un atto d'imperio iniziale avrebbe potuto diminuire le sperequazioni dolorose e crudeli che si verificano nella distribuzione dei generi più nutritivi e più necessari all'organismo. Ma Gianni è furbo. Distribuzione equa vorrebbe dire costringere le persone della sua classe a privarsi di dolciumi, di cotolette, a privarsi anche di una parte del necessario, perché di questo necessario non siano completamente privati certi altri. Questo è il punto. Per una certa categoria di persone il prezzo della derrata è un particolare secondario. Essa è disposta a spendere qualsiasi somma pur di avere la derrata. Gianni fa il gioco di questa categoria. Egli finge di prendere dei provvedimenti; i provvedimenti sono tardivi e incerti; si dice: come è sciocco Teofilo Rossi. Ma Teofilo Rossi nell'apparenza di sciocco, crea degli effetti intelligentissimi. I suoi provvedimenti tardivi e incerti, proprio per la ragione che sono tardivi e incerti, sono utili alla ristretta categoria di persone cui si vuol giovare. Gettano lo scompiglio nel mercato, creano l'usura e il sotterfugio, fanno aumentare i prezzi. La grande massa dei consumatori vengono così ad essere privati delle derrate utili, e queste, essendone stato cosi furbescamente limitato il consumo, rimangono monopolizzate da sempre più ristrette categorie denarose.
Hanno introdotto la tessera dello zucchero. Teofilo Rossi ha deciso di introdurre la tessera dello zucchero. È Gianni che si trascina dietro il quarto di porco e se lo fa smangiucchiare dai cani. La tessera conta nulla se il fabbisogno di zucchero della città non può essere controllato. Torino ha una disponibilità di 2200 quintali di zucchero. Si incomincia coll'escludere da essa lo zucchero destinato alle fabbriche di dolciumi e di liquori; il lusso è diventato un cibo ordinario; i dolci che prima erano «dessert», per molti hanno sostituito il pane: chi può spendere non bada a questa sostituzione. Intanto i bambini dei poveri devono avere solo 12 grammi di zucchero al giorno, e pagandolo a prezzi eccezionali. Dai 2200 quintali si sottraggono 450 quintali per i caffè, bar, esercizi pubblici. Cosi chi può spendere, va al caffè e s'ingozza, ed ha in più il suo quantitativo come cittadino ordinario. Chi è solo cittadino ordinario avrà 400 grammi di zucchero al mese, carta compresa. E siccome non esiste alcun controllo sarà taglieggiato dagli esercenti, perché non è cliente, perché non è stato cliente, ecc., e dovrà in gran parte rinunziare al suo diritto che però sulla carta è ben scritto e timbrato.
Gianni il furbo, ora che i suoi clienti ed affini hanno fatto le provviste dello zucchero, pagandolo a 6 e 7 lire al chilo, ha tirato fuori la tessera; ha lasciato però un battente aperto. Quando le cose minaccino di diventare ancor peggiori, il battente aperto avrà permesso un nuovo saccheggio a danno della collettività. E il furbo colla favola della sua sciocchezza avrà un nuovo titolo di benemerenza presso i suoi compari.

 
***


[1]    Der gescheite Hans, nella raccolta di Jacob e Wilhelm Grimm, Kinder-und Hausmaerchen. Un riferimento ad un'altra fiaba della medesima raccolta è nella recensione teatrale, di poco posteriore a questo articolo, II tramonto dì Guignol (pp. 883-85).
[2]    Cfr. il «Sotto la mole» del 5 maggio 1916, Leggi economiche (CT, 287-88).

Document Actions