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Per la libertà della scuola e per la libertà d'essere asini

In «Avanti!», anno xxi, n. 102, 13 aprile 1917, cronache torinesi. Nuova attribuzione. Per la paternità dello scritto, cfr. il «Sotto la mole» del 19 giugno 1916, Un'incognita (CT, 384-85) e l'articolo La scuola libera, in «Avanti!», 15 agosto 1918, cronache torinesi (vol. III); CF, pp. 121-124.

I clericali parlano spesso e volentieri di libertà della scuola. Ma non si ingannino i lettori. La parola libertà acquista nelle loro bocche un significato tutto suo che non coincide affatto col concetto che della libertà possono avere gli uomini pensanti che non sono clericali. Libertà della scuola significa propriamente per i clericali libertà di essere asini col godimento di tutti i diritti che sono riconosciuti a chi ha studiato. È questa formula: «per la libertà della scuola», una bellissima bandiera che copre, o dovrebbe coprire, una lucrosissima speculazione economica e di setta.
Le scuole private clericali sono floridissime in Italia. Nessuna legge ne inceppa lo sviluppo e la libera esplicazione. Esse possono fare la concorrenza che vogliono alla scuola di Stato. Se sono migliori, se danno ai frequentatori una istruzione migliore di quella che sia possibile trovare nelle scuole pubbliche, esse possono moltiplicarsi all'infinito, possono far pagare le rette che vogliono. Lo Stato riconosce il diritto di comprare la merce «istruzione» dove si vuole.
Ma la merce «istruzione» vale poco in Italia, quantunque costi discretamente. Ciò che vale è la merce «titolo», che viceversa costa pochissimo. E qui incominciano i dolori clericali. Lo Stato tiene il cartello per la merce «titolo». Chi ha «titoli» di studio, li vende specialmente allo Stato, il quale li compra ad occhi chiusi, per ciò che riguarda il loro effettivo valore, ma vuole riservarsi il più assoluto controllo per ciò che riguarda la loro provenienza. Lo Stato, insomma, è sempre disposto a comprare titoli di studio, ma pretende che essi siano stati emessi da uno dei suoi istituti accreditati.
Abbiamo usato un linguaggio economico appunto per mettere meglio in vista il fatto che la questione per cui si agitano i clericali è prettamente economica. Essi vorrebbero vendere allo Stato quanto più merce avariata possono. Vorrebbero conquistare una libertà che sarebbe solo un privilegio per loro, un privilegio per gli studenti che frequentano le loro scuole, a danno della collettività. Non si accontentano di battere moneta che, passando attraverso il controllo degli enti statali, è riconosciuta di corso legale; vorrebbero anche battere moneta falsa, molta moneta falsa, allagarne tutto il mercato italiano, e hanno la pretesa che lo Stato dia anche ad essa corso legale, la accrediti presso le sue Amministrazioni, la accrediti presso le Amministrazioni private, che hanno tuttora la mania di scontare solo valori di Stato. Questa speculazione losca di baratteria i clericali la chiamano «libertà della scuola».
Il Consiglio direttivo dell'Unione «Pro Schola libera» ha pubblicato in questi giorni sui giornali del trust cattolico una lettera aperta al ministro Ruffini[1] con la quale si tenta iniziare un nuovo e definitivo arrembaggio alla tartana dello Stato. Lo stato di guerra ha dato un'apparenza giustificativa a molti provvedimenti minervini, che hanno ancor più del solito menomato la serietà della scuola. I clericali vogliono approfittare del periodo di vendemmia generale per conquistare in modo definitivo quelle concessioni che l'insipienza ministeriale ha dato in via eccezionale. Il Ministero ha abolito ogni controllo efficace sulla assegnazione dei titoli di studio. Ma domani l'opinione pubblica imporrà di nuovo il controllo: le scuole pubbliche, in quanto tali, sono potenzialmente sempre sotto il controllo pubblico, il loro ordinamento può essere sempre modificato a seconda del prevalere delle correnti più serie della vita nazionale. È un male, certo e gravissimo, che per due anni sia stato possibile nelle scuole un regime di cuccagna, che i meriti di guerra abbiano sostituito i meriti di studio, e l'economia generale ne risentirà dolorosamente.
Ma è questo un male che non è nei principi: è negli uomini che si sono susseguiti al potere. I clericali vorrebbero perpetuare questo male, per cristallizzarlo in altrettanto reddito delle loro istituzioni economiche.
Hanno ottenuto nei due anni scorsi che gli scolari degli istituti clericali potessero scegliere la sede d'esame. Nessuno riuscirà mai a giustificare, con lo stato di guerra, una tale concessione. Nessuno riuscirà mai a giustificare che sia più conveniente dal punto di vista «economico» che lo studente vada a dare l'esame lontano dalla residenza dove ha studiato. Ma i ministri Credaro e Grippo l'hanno concesso.
Hanno concesso che i clericali mandassero i loro studenti a dare l'esame in quelle sedi dove era facile passare, dove gli esaminatori erano legati agli esaminandi da vincoli d'interesse politico e settario, dove gli esaminatori potevano essere corrotti. La lettera aperta domanda al ministro Ruffini che la concessione sia mantenuta anche quest'anno, si lamenta che il ministro non abbia degnato rispondere a una istanza privata in proposito, domanda che la concessione non solo sia mantenuta quest'anno, ma divenga un diritto. Cosi sarà possibile ai giovani agiati, che non hanno studiato, di andare magari da Torino in Calabria, di cercarsi l'esaminatore che lo passi anche se non sa, mentre un altro giovane se vuol passare nelle scuole di Torino, deve studiare, deve sacrificarsi e pur avendo fatto tutto il lavoro necessario, può essere scavalcato dall'altro la cui famiglia riesce ad avere il dottore e a mantenersi l'asino.
Rimarrà il ministro Ruffini sordo alla lettera aperta, cosi come è rimasto sordo all'istanza privata? Gli interessi della scuola riusciranno a emergere sulla palude del marasma politico? L'opinione pubblica dovrebbe costringerlo a far ciò. La collettività ha interesse a che la scuola serva a formare degli uomini capaci, veramente preparati a esplicare un compito utile per tutti, e non a che sia un distributorio di titoli a prezzi d'occasione. La lettera aperta dei clericali è un tessuto di cavillose deformazioni della realtà scolastica. È necessario che la collettività, la quale spreme il sangue delle sue vene per pagare una burocrazia pletorica e fannullona, conservi tutte le possibilità di controllo sull'assegnamento dei titoli di studio, che generosamente concessi agli inetti, servono solo a far aumentare lo stato di disagio della vita pubblica, a creare degli strati burocratici pleonastici, che vivono parassitariamente sulla produttività dei lavoratori.


[1] Cfr. Per la libertà della scuola, in «Il Momento», 11 aprile 1917.

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