Margini
In "La Città futura", pp. 3-4. Raccolto in SG, pp. 82-87, CF, pp. 23-30
MARGINI
1.
Lo sforzo fatto per conquistare una verità, fa apparire un po' come
propria la verità stessa, anche se alla sua nuova enunciazione non si è
aggiunto nulla di veramente proprio, non s'è data neppure una lieve
colorazione personale. Ecco perché spesso si plagiano gli altri
inconsciamente, e si rimane disillusi per la freddezza con cui vengono
accolte affermazioni che riputavamo capaci di scuotere, di
entusiasmare. Amico mio, ci ripetiamo sconsolatamente, il tuo era
l'uovo di Colombo. Ebbene, non mi importa di essere lo scopritore
dell'uovo di Colombo. Preferisco ripetere una verità già conosciuta al
cincischiarmi l'intelligenza per fabbricare paradossi brillanti,
spiritosi giochi di parole, acrobatismi verbali, che fanno sorridere,
ma non fanno pensare.
La giardiniera plebea è sempre la minestra più nutriente e più
appetitosa appunto perché preparata con le civaie più usuali. Mi piace
vederla ingoiare a larghe cucchiaiate dagli uomini gagliardi e ricchi
di succhi gastrici che contengono nella forza della loro volontà e dei
loro muscoli l'avvenire. La più trita verità non è mai stata ripetuta
quanto basti perché essa diventi massima e stimolo all'azione in tutti
gli uomini.
2.
Quando discuti con un
avversario, prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai meglio e
forse finirai con l'accorgerti che ha un po', o molto, di ragione. Ho
seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei
miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere
ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa
svenire.
3.
Le diserzioni dal socialismo
di molti cosiddetti intellettuali (a proposito: intellettuale vuol
sempre dire intelligente?) sono diventate per gli sciocchi la miglior
prova della povertà morale della nostra idea. Il fatto è che fenomeni
simili sono avvenuti e avvengono per il positivismo, per il
nazionalismo, per il futurismo, e per tutti gli altri ismi. Ci sono i
crisaioli, le animucce sempre in cerca di un punto fermo, che si
buttano sulla prima idea che si presenti con l'apparenza di poter
diventare un ideale e se ne nutrono fino a quando dura lo sforzo per
impossessarcene. Quando si è arrivati alla fine dello sforzo e ci si
accorge (ma questo è effetto della poca profondità spirituale, del poco
ingegno, in fondo) che essa non basta a tutto, che ci sono problemi la
cui soluzione (se pur esiste) è fuori di quella ideologia (ma forse è
ad essa coordinata in un piano superiore), ci si butta su qualche altra
cosa che sia una verità, che rappresenti ancora un incognito e quindi
presenti probabilità di soddisfazioni nuove. Gli uomini cercano sempre
fuori di sé la ragione dei propri fallimenti spirituali; non vogliono
convincersi che la causa ne è sempre e solo la loro animuccia, la loro
mancanza di carattere e di intelligenza. Ci sono i dilettanti della
fede, così come i dilettanti del sapere.
Ciò nella migliore delle ipotesi. Per molti la crisi di coscienza non è
che una cambiale scaduta o il desiderio di aprire un conto corrente.
4.Si dice che in Italia ci sia il peggior socialismo d'Europa[1]. E sia pure: l'Italia avrebbe il socialismo che si merita.
5.
Il progresso non consiste per lo più che nella partecipazione di un
sempre maggior numero di individui a un bene. L'egoismo è il
collettivismo degli appetiti e dei bisogni di un singolo: il
collettivismo è l'egoismo di tutti i proletari del mondo. I proletari
non sono certo altruisti nel significato che a questa parola danno gli
umanitari frolli. Ma l'egoismo del proletariato è nobilitato dalla
coscienza che il proletariato ha di non poterlo totalmente appagare
senza che lo abbiano appagato nello stesso tempo tutti gli altri
individui della sua classe. E perciò l'egoismo proletario crea
immediatamente la solidarietà di classe.
6.
E' stato detto: il
socialismo è morto nel momento stesso in cui è stato dimostrato che la
società futura che i socialisti dicevano di star creando era solo un
mito buono per le folle[2].Anch'io credo che il mito si sia dissolto
nel nulla. Ma la sua dissoluzione era necessaria. Il mito si era venuto
formando quando era ancor viva la superstizione scientifica, quando si
aveva una fede cieca in tutto ciò che era accompagnato dall'attributo
scientifico. Il raggiungimento di questa società modello era un
postulato del positivismo filosofico, della filosofia scientifica. Ma
questa concezione non era scientifica, era solo meccanica, aridamente
meccanica. Ne è rimasto il ricordo scolorito nel riformismo teorico (però anche la " Critica sociale " non si chiama più: Rivista del
socialismo scientifico[3]) di Claudio Treves, un balocco di
fatalismo positivista le cui determinanti sono energie sociali astratte
dall'uomo e dalla volontà, incomprensibili e assurde: una forma di
misticismo arido e senza scatti di passione dolorante. Era questa una
visione libresca, cartacea, della vita; si vede l'unità, l'effetto, non
si vede il molteplice, l'uomo di cui l'unità è la sintesi. La vita è
per costoro come una valanga che si osserva da lontano, nella sua
irresistibile caduta. Posso io fermarla?, si domanda l'homunculus: no,
dunque essa non segue una volontà. Perché la valanga umana obbedisce ad
una logica che caso per caso può non essere la mia individuale, ed io
individuo non ho la forza di fermarla o di farla deviare, mi convinco
che essa non ha una logica interiore, ma ubbidisce a delle leggi
naturali infrangibili.
E' avvenuta la débâcle della scienza, o per meglio dire, la scienza si
è limitata ad assolvere il solo compito che le era concesso; si è
perduta la cieca fiducia nelle sue deduzioni ed è quindi tramontato il
mito che essa aveva contribuito potentemente a suscitare. Ma il
proletariato si è rinnovato; nessuna delusione vale ad essiccare la sua
convinzione, come nessuna brinata distrugge il virgulto ricolmo di
succhi vitali. Ha riflettuto sulle proprie forze, e su quanta forza è
necessaria per il raggiungimento dei suoi fini. Si è maggiormente
nobilitato nella coscienza delle sempre maggiori difficoltà che ora
vede, e nel proposito dei sempre maggiori sacrifizi che sente di dover
fare. E' avvenuto un processo di interiorizzamento: si è trasportato
dall'esterno all'interno il fattore della storia: a un periodo di
espansione ne succede sempre uno di intensificazione. Alla legge
naturale, al fatale andare delle cose degli pseudo-scienziati è stata
sostituita: la volontà tenace dell'uomo.
Il socialismo non è morto, perché non sono morti per esso gli uomini di buona volontà.
7.
Si è irriso, e si irride ancora al valore numero, che sarebbe solo un
valore democratico, non rivoluzionario: la scheda, non la barricata. Ma
il numero, la massa, ha servito a creare un nuovo mito: il mito
dell'universalità, il mito della marea che sale irresistibile e
fragorosa e raderà al suolo la città borghese sorretta sui puntelli del
privilegio. Il numero, la massa (tanti in Germania, in Francia, in
America, in Italia... che ogni anno crescono, crescono... ) ha saldato
la convinzione che ogni singolo ha di partecipare a qualcosa di
grandioso che sta maturando e di cui ogni nazione, ogni partito, ogni
sezione, ogni gruppo, ogni individuo è una molecola che riceve e
restituisce rinvigorito il succo vitale che circolando arricchisce
tutto il complesso del corpo socialista mondiale. I milioni d'infusori
che nuotano nell'oceano Pacifico costruiscono sterminati banchi
coralliferi sotto il livello dell'acqua: un terremoto fa affiorare i
banchi e un nuovo continente si forma. I milioni di socialisti dispersi
nella vastità del mondo lavorano anch'essi alla costruzione di un
continente nuovo: e il terremoto [censura].
8.
E' più facile convincere chi
non ha mai partecipato alla vita politica di chi ha già appartenuto a
un partito già sagomato e ricco di tradizioni. E' immensa la forza che
la tradizione esercita sugli animi. Un clericale, un liberale che
diventano socialisti, sono altrettante macchine a sorpresa che possono
da un momento all'altro esplodere con effetti letali per la nostra
compagine. Le anime vergini degli uomini di campagna, quando si
convincono di una verità, si sacrificano per essa, fanno tutto il
possibile per attuarla. Chi si è convertito, è sempre un relativista.
Ha esperimentato in se stesso una volta quanto sia facile sbagliarsi
nello scegliere la propria via. Pertanto gliene rimane un fondo di
scetticismo. Chi è scettico non ha il coraggio necessario per l'azione.
Preferisco che al movimento si accosti un contadino più che un
professore d'università. Solo che il contadino dovrebbe cercare di
farsi tanta esperienza e tanta larghezza di mente quanta ne può avere
un professore d'università, per non rendere sterile la sua azione e il
possibile suo sacrifizio.
9.
Accelerare l'avvenire.
Questo è il bisogno più sentito nella massa socialista. Ma cos'è
l'avvenire? Esiste esso come qualcosa di veramente concreto? L'avvenire
non è che un prospettare nel futuro la volontà dell'oggi come già
avente modificato l'ambiente sociale. Pertanto accelerare l'avvenire
significa due cose. Essere riusciti a far estendere questa volontà a un
numero tale di uomini quanto si presume sia necessaria per far
diventare fruttuosa la volontà stessa. E questo sarebbe un progresso
quantitativo. Oppure: essere riusciti a far diventare questa volontà
talmente intensa nella minoranza attuale, che sia possibile
l'equazione: 1 = 1 000 000 . E questo sarebbe un progresso qualitativo.
Arroventare la propria anima e farne sprizzare miriadi di scintille.
Ciò è necessario [censura].
Aspettare di essere diventati la metà più uno è il programma delle
anime pavide che aspettano il socialismo da un decreto regio
controfirmato da due ministri.
[1] Probabile richiamo a un giudizio di Giustino Fortunato: "Già, o che il movimento socialista italiano non è forse il meno socialista fra tutti gli altri d'Europa, da quell'effettivo piccolo borghese e industriale che esso è, misto di politica e di opportunismo, di protezione e di cooperativismo ... ? " Cfr. G. Fortunato, Pagine e ricordi parlamentari, Vallecchi, Firenze 1927, vol. II, P. 36.
[2] Gramsci si riferiva allo scritto in forma di dialogo di Benedetto Croce, La morte del socialismo, pubblicato con lo pseudonimo di Falea di Calcedonia in "La Voce", anno III, n. 6, 9 febbraio 1911; ora in B. Croce, Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, Laterza, Bari I955, PP. 150-59.
[3] Il sottotitolo "Rivista quindicinale del socialismo scientifico" era apparso dal 1° gennaio I893, anno III, n. I; in seguito (dal 1° luglio 1899, anno VIII, n. 10) il sottotitolo si mutò in "Rivista quindicinale (del socialismo". Sul concetto di "scientifico", "che cosa è scientifico?", cfr. Q, II, 826-17.