Intellettualismo
in «Avanti!», anno XX, n. 11, 11 Gennaio 1916, Cronache torinesi, nella rubrica «Sotto la Mole», in SM, pp. 9-11 e CT, 62-64
Questo compito di dire sul muso a tanta illustre gente dure ed amare verità, di sorpassare il coro delle voci plaudenti con la nostra, indicante senza tregua contraddizioni e sciocchezze, è generalmente grato al nostro spirito; non oggi, che della intellettualità di Ernesto Bertarelli non ci aspettavamo un così totale naufragio. Insistiamo, anche se lo sforzo è vano, perché se da codesto torrente di parole, da codesto flusso di vecchi e falsi concetti non ci salva la guerra, maestra di austerità, quale scampo può esserci?
«Ai tedeschi la natura ha negato le belle donne, perciò essi violentano la bellezza...» Testuale!
La sala è molto calda, l'oratoria non eccessivamente affascinante, la frase risuona e sembra che l'onda declamatoria svanendo susciti agli occhi semichiusi una teoria di immagini. Oh, dolci fanciulle dai capelli d'oro, dai profondi occhi cerulei, incedenti nelle vaste solenni navate delle cattedrali gotiche che al ciel lunghe levando marmoree braccia pregano il Signore...
La natura ha negato...? Ma nella scienza positiva che è la natura? Bellezza? Ma se al Bertarelli non piacciono le donne tedesche e preferisce le giapponesi, è proprio stabilito che ciò sia obbligatorio per ogni suddito della quadruplice?
«Roma legava il vinto così da farlo solidale nel mese e fratello nell'anno...» Testuale!
Ma, per Iddio, Arminio difendeva la sua patria che il tallone romano voleva schiacciare, e Vercingetorige, seguente incatenato il carro dei trionfatore, è più grande, o signori avvocati del Belgio, di Cesare rosso del sangue di migliaia di Galli, incendiatore di città, devastatore di intiere regioni. Avesse almeno insegnato Corradino al suo allievo del liceo Gioberti che occorsero diecine di anni e battaglie ed assedi e carneficine per togliere ai Belgi la loro libertà anche quando gli invasori furono i Romani!
E poiché cosi si fa la scienza e la storia, un qualsiasi rappresentante della élite intellettuale e colta che gremiva il salone Ghersi, può gridare: «Il Manouba ce l'hanno mandato i tedeschi!»
Esco, e poiché merito una ricompensa per la fatica compiuta in omaggio al dovere giornalistico, posso leggere in Romain Rolland:
L'intellettuale vive troppo nel regno delle ombre, nel regno delle idee... Fate che sopraggiunga una passione collettiva, l'intellettuale si accecherà completamente; la passione si adagerà nella concezione che può meglio servirle, e le trasfonderà il suo sangue: e quella la magnificherà. E non rimane più nell'uomo che un fantasma del suo spirito nel quale sono associati il delirio del suo cuore e quello del suo pensiero. È perciò che gli intellettuali, nella crisi attuale, non solamente sono stati più degli altri esposti al contagio bellico, ma hanno contribuito prodigiosamente a diffonderlo. Aggiungo (è la loro punizione) che essi ne sono le più grandi vittime, poiché mentre gli uomini comuni esposti all'azione incessante della loro esperienza e della vita d'ogni giorno, si cambiano con esso e lo fanno senza rimorsi, gli intellettuali sono legati alla logica del loro pensiero, e ognuno dei propri scritti è per loro un legame di più...
Il vero intellettuale, il vero intelligente, è chi non fa di sé e del proprio ideale il centro dell'universo: chi, guardandosi attorno, vede, come nel cielo i fiotti della Via Lattea, i milioni di piccole fiamme che scorrono con la sua, e non cerca di assorbirle né di imporre loro la sua strada, ma di compenetrare religiosamente della necessità di tutte, della sorgente comune del fuoco che le alimenta.[1]
Ma ce ne sono di veri intellettuali mentre la guerra dura?
Non è forse Romain Rolland un solitario, un esiliato, un calunniato?
Ernesto Bertarelli non vorrà rispondere...
[1] Brano da R. Rolland, Les Idoles, tradotto parzialmente in «Grido del Popolo», 4 dicembre 1914, con il titolo Contro certo intellettualismo senza carattere e poi in R. Rolland, Al di sopra della mischia, Edizioni Avanti!, Milano 1916, pp. 95-96.