Delfino Orsi
“Avanti!”, anno XXI, n. 247, 6 settembre 1917.
Delfino Orsi ha taciuto. Delfino Orsi ha vigliaccamente diffamato il
Partito socialista nei suoi uomini rappresentativi e nei suoi militi
tutti più fedeli. Ha diffamato le classi lavoratrici. Gli furono
chieste privatamente e pubblicamente le prove delle sue denunce, ed
egli non ha risposto sillaba.
Il signor conte Delfino Orsi, direttore della “Gazzetta del Popolo”,
tripudia sozzamente in questi giorni, mettendo in vetrina le oscenità
della sua spaventosa nudità morale.
Il ribrezzo che sentiamo nel riprendere la penna in mano per parlare di
quest’uomo, che giace ancora sotto l’accusa infamante di malversazioni,
che si dice erede della tradizione di Giovanni Bottero – e la
tradizione è tutta nell’accusa, mossa al Bottero dai suoi ex amici
liberali, di essere una spia, senza che l’accusato si rivoltasse in un
solo scatto di protesta – rassomiglia tutto al senso di ribrezzo
provato dai fanciulli per il fetore conservato nelle mani per qualche
giorno e di cui i nervi hanno trattenuto l’impressione tenace, del
sangue di una biscia acquaiola scuoiata per vendicare la morte di un
uccelletto di nido.
Il signor conte Delfino Orsi non ha niente di rispettabile: è roso
dall’abiezione fino alle midolla. Non è l’uomo che si drizza
orgogliosamente per la difesa di una casa e di un focolare e non misura
all’avversario: è l’abiezione lurida che tenta di insozzare
l’avversario, che cerca diminuirlo, che gioirebbe di vederlo
avviluppato in una rete tenace e schifosa di fili di bava per fargli
intorno la gazzarra della debolezza, […].
Ma il conte Delfino Orsi non riesce. La sua abiezione si affloscia nel disprezzo. Il […].