Per la verità [1]
Firmato: Alfa Gamma, in «Corriere universitario», anno I, n. 1, 5 febbraio 1913. Raccolto in Per la verità, 3-5
Giovanni Papini ha creduto opportuno di raccogliere in Ventiquattro cervelli[2] alcuni suoi scritti che mano mano è venuto pubblicando in riviste e giornali. Avrei fatto a meno di parlarne, se non mi ci avesse spinto, per cosi dire, una quistione personale. Infatti trovo qui riprodotto il breve profilo di Arturo Farinelli già uscito nella rivista «Anima» dell'aprile 1911, nel quale, come in tutti gli altri scritti, ricorre l'eterno motivo papiniano: «Dàgli all'erudito, dagli allo schedaiuolo!»
Non ho bisogno di premettere che sono un ammiratore dell'ingegno agile e infaticabile dell'autore e che non posso non essere contento di quanto egli ha fatto e fa spesso, come qui, con efficacia e con calore, per convincere, anche chi non vuol essere convinto, della grandezza d'animo e d'ingegno del Farinelli; ma appunto perciò sento di dovermi opporre a quella che è diventata una posa nel Papini.
Il quale, beato lui, crede d'aver sempre vent'anni, di essere sempre il direttore del «Leonardo»[3] e non vuole abbandonare un certo suo atteggiamento tra il comico e il tragico da pitonessa, che incomincia a screditarlo tra coloro stessi che fin qui lo seguirono con amore ed interesse. Non vuol persuadersi il Papini che il successo procuratogli dagli scritti giovanili, anche presso chi era da lui aggredito, non era dovuto affatto a un intimo valore dialettico di essi scritti, ma solo ad un sentimento, naturale ed onorevole per vero, di benevola simpatia per un ragazzo nel quale l'esuberante vitalità, pur manifestandosi in violenti atteggiamenti di ribelle distruttore di vecchiumi, faceva sperare una fioritura maravigliosa di opere nell'età più matura. Invece il Papini è voluto rimanere sempre allo stato di verde promessa della patria e le sue diatribe ora sembrano a molti impotenza che vuol parere robustezza, e i suoi articoli apocalittici gli procureranno fra breve un posto fra i vari Ber-geret e Rastignac[4] che deliziano il bello italo regno. Nel caso particolare il Papini, per la sua solita inclinazione al rapido scrivere, si è lasciato sfuggire dalla penna alcuni goccioloni, che, in chi predica serietà di vita interiore e approfondimento dèi problemi spirituali da tempo immemorabile, fanno trasecolare.
Ricade egli nell'errore volgarissimo, ad altri rimproverato, di credere che un mezzo di studi, una cosa affatto empirica (per es. la scheda), svalori l'opera di chi se ne è servito: cosi, del resto, può fare a meno di leggere e di studiare l'opera. E cosi nella fine del suo scritto sul Farinelli, per accentuare la posizione drammatica dell'illustre maestro nella ritrovata Italia, afferma che egli è solo, non solo fra i dotti colleghi, ma anche, e ciò sarebbe davvero più grave, fra i giovani, ai quali vorrebbe dare tutta l'appassionata anima sua. Ma, con molta probabilità, il Papini non sa nep-pur lui cosa diamine abbia voluto dire con queste parole: le quali, a quanto pare, gli piacciono perché altra volta (nel «Leonardo» del luglio 1906) le ha dette, non meno sibillinamente a proposito del Carducci[5]. Ma ammettiamo che questa volta non si tratti delle amletiane parole, parole, parole[6] che ha voluto dire il Papini? Forse che ogni uomo di genio che sia dotato di squisita sensibilità morale è condannato alla solitudine tra i contemporanei che non riescono ad eguagliarlo? Potrebbe aver ragione: ma ha torto per quanto riguarda il Farinelli, il quale sa, e di ciò gli siamo grati, accostarsi anche ai piccoli, agli umili, cercando di trarli con sé verso l'alto, in una visione sempre più ampia della vita umana; perché è prerogativa del genio, come ha detto altrove il Papini, di farsi un ambiente adatto a ricevere la sua divina impronta. E se il Papini vuol dire che nessuno, e in questo caso i giovani dell'Università di Torino non seguono con reverente affetto l'opera di A. Farinelli e non si lasciano conquistare dal suo caldo entusiasmo per ogni grande e bella manifestazione dello spirito umano, ha di nuovo torto, e torto grave, perché egli fa un'affermazione gratuita alla quale non si è curato di dare una qualsiasi base di verità.
E questo solo io volevo dire, e insieme con me, altri giovani che, sebbene non lo dimostrino con clamori o con inni laudativi, sentono quanta parte del loro animo occupi il Farinelli, che hanno trepidato quando per un momento dubitarono che il maestro li lasciasse per portare il suo insegnamento in altra scuola1, dove certo avrebbe trovato uditorio più numeroso ma non più affettuoso o più fervido, e che si stringono intorno a lui lasciandosi investire dalla fiamma della sua passione, perché in lui trovano una fonte di energia nella davvero non sempre gaia, spensierata e creatrice d'affetti vita universitaria.
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[1] II titolo riprendeva quello di un articolo polemico di Giovanni Papini, Ver Farinelli e per la verità, in «La Voce», anno rv, n. 1, 4 gennaio 1912, nel quale lo scrittore fiorentino difendeva la severità di Farinelli nei confronti di un collega poco scrupoloso. Sulla collaborazione di Gramsci - limitata a questo articolo e al successivo - al «Corriere universitario», uscito con periodicità quindicinale (eccettuato il periodo estivo) dal 5 febbraio 1913 (anno 1, n. 1) al 5 dicembre dello stesso anno (anno 1, n. 9-10), come organo dell'Associazione torinese universitaria, cfr. Renzo Martinelli, Gramsci e il «Corriere universitario» di Torino, in «Studi storici», anno xrv, n. 4, ottobre-dicembre 1973, pp. 906-16. Questo articolo segna, molto probabilmente, l'inizio dell'attività giornalistica di Gramsci a Torino. Lo pseudonimo Alfa Gamma sarà da lui usato in seguito per firmare vari scritti pubblicati nel «Grido del Popolo».
[2] Giovanni Papini, Ventiquattro cervelli. Saggi non critici, Puccini e figli, Ancona 1913. Il «profilo» di Farinelli, citato nell'articolo, è a pp. 263-271.
[3] La rivista «Leonardo» fondata a Firenze da G. Papini («Gian Falco») nel 1903 e pubblicata fino al 1907.
[4] «Rastignac» e «Bergeret», pseudonimi dei giornalisti Vincenzo Morello e Ettore Marroni, note «firme» del giornalismo italiano del tempo.
[5] Cfr. G. F., Carducci è solo, in «Leonardo», anno iv, serie III, agosto 1906, p. 246.
[6] Shakespeare, Amleto, atto II, scena 11.
[7] Gramsci si riferiva alla ventilata successione di Farinelli alla cattedra di letteratura italiana a Bologna dopo la morte di Pascoli (cfr. A. Farinelli, Episodi di una vita, Garzanti, Milano 1946, pp. 208-11). Sull'influenza di Arturo Farinelli (1867-1948), docente di letteratura tedesca all'università di Torino dal 1909 al 1937, sui giovani socialisti torinesi, cfr. P. Togliatti, Gramsci, a cura di E. Ragionieri, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 65.