Per chiarire le idee sul riformismo borghese
“Avanti!”, anno XXI, n. 343, 11 dicembre 1917.
Il breve commento da noi scritto per l’assunzione del signor Italo
Minunni a direttore della “Gazzetta di Torino” ha provocato un articolo
dell’“Idea Nazionale” e una lunga risposta del Minunni stesso. Il
Minunni non fa che ampliare ciò che i suoi direttori spirituali avevano
anticipato; pertanto le nostre chiarificazioni valgono per l’uno e per
gli altri.
La discussione non è astratta. Per noi essa è ben concreta ed attuale e
le osservazioni da noi fatte hanno valore storico più che valore
schematico. La tesi, che la censura si è incaricata di rendere monca
nella sua enunciazione, è questa: economicamente la classe borghese in
Italia non ha ancora vissuto. Essa è stata finora solo una classe
storica (si ricordi ciò che Federico Engels ha scritto sulle classi
storiche e le classi economiche), che ha dato al paese solo una
attività politica.
La scissione tra politica ed economia è la causa più grande del
confusionismo e della corruzione di costumi che caratterizzano gli
ultimi cinquant’anni di storia italiana. La borghesia non ha avuto
spina dorsale, non ha avuto programmi concreti e rettilinei, perché non
era una classe di produttori, ma un’accolita di politicanti. Col
nascere e lo svilupparsi del movimento nazionalista si osserva questo
fatto: il conglutinarsi di singole categorie economiche borghesi su un
programma economico. Non a caso queste categorie hanno fatto proprio il
programma economico nazionalista. Esse non sono ancora assurte alla
comprensione della classe (che economicamente non è nazionale, ma
internazionale) e lo spirito di corporazione le ha gettate dalla parte
del nazionalismo economico, che, sfrondato delle sue ideologie, dei
rivestimenti retorici, del multicolore piumaggio utile nella stagione
degli amori, si riduce al vecchio protezionismo, cioè al far servire lo
Stato come distributore di ricchezze, come creatore di ricchezze
private, dato che il protezionismo non fa che spostare le ricchezze,
far passare il capitale dalle tasche dei contribuenti e dagli
investimenti in attività non protette, nelle attività protette e nelle
tasche dei capitalisti delle industrie protette. Il nazionalista
economico compie così nel campo borghese la stessa funzione che nel
campo proletario ha compiuto il riformismo. Sveglia e organizza, sotto
il pungolo di un fine immediato (travestito da fine universale di
classe), i singoli individui che incominciano a sentire la solidarietà
di casta, di corpo. Il tardo ingresso dell’Italia nell’attività
capitalistica ha portato a questa confusione ideologica (che si
riflette in confusione pratica, di azione e di programma): l’immaturità
di pensiero storico del nazionalismo economico vince la maturità di
pensiero del liberalismo, che è vera dottrina di classe, non solo
nazionale, ma anche internazionale, e pertanto tende a una saldatura
economica tra le varie borghesie nazionali, ad un accrescimento della
ricchezza capitalisti-ca internazionale attraverso il liberismo, mentre
il nazionalismo protezionistico ha fini più ristretti, non di classe,
ma di aggruppamenti nazionali di determinate categorie industriali ed
agrarie. Nella realtà storica attuale è avvenuto che il proletariato
italiano, assurgendo alla comprensione del socialismo rivoluzionario,
ha acquistato la maturità di pensiero, che gli fa discernere i suoi
veri interessi di classe internazionale, dagli interessi delle
categorie singole, che trionfando attraverso la tattica riformista
portavano a risultati antieconomici, distruttori della ricchezza
attuale, senza che fossero pungolo a miglioramento della tecnica
industriale, a semplificazioni burocratiche, a facilitazioni negli
scambi. Invece la borghesia incomincia solo ora il processo di presa di
coscienza della propria individualità di classe, e le minoranze di essa
che prime si sono organizzate, teorizzano gli interessi loro
particolari, li fanno coincidere con la nazione, con la classe. Ma per
la critica rimangono minoranze, categorie, e i loro interessi si
rivelano parassitari, antieconomici. La dottrina della classe borghese
è quella liberale, che ha trionfato integralmente in Inghilterra e
negli Stati Uniti dove la borghesia è classe economica e storica
contemporaneamente, non ha trionfato in Francia per l’economia, data la
prevalenza delle categorie borghesi commerciali e ban-carie, e non
delle categorie direttamente produttrici. La dottrina liberale è
pertanto, dal punto di vista storico di classe, la vera antagonista del
socialismo rivoluzionario, e questo antagonismo diretto è rivelato
anche dalle somiglianze, che esistono tra le due dottrine. Il
nazionalismo economico corrisponde al riformismo; ha apparenza
rivoluzionaria come l’aveva il riformismo ai suoi bei tempi, perché
ogni dottrina che smuove sedimenti sociali, amorfi e inerti fino
allora, ha apparenze rivoluzionarie. Ma nella realtà dei fatti e nella
realtà del pensiero l’accostamento è solo quello da noi fatto. Il
movimento neoborghese iniziatosi a Torino per opera degli industriali
metallurgici, ha tutti i caratteri del riformismo, e la chiamata del
signor Italo Minunni alla “Gazzetta” segna anche nell’esteriorità il
fenomeno. Non avrà risultati, non riuscirà nei suoi intenti, che sono
di collaborazione economica di classe, perché il proletariato
socialista torinese ha vinto già in seno al suo Partito l’ideologia
riformista, si è dichiarato spesso liberista, ha compreso che per le
rivendicazioni di classe è necessario che la ricchezza globale
nazionale e internazionale sia in incremento, e non avvengano solo
spostamenti di ricchezza. Un pensiero immaturo ed oltrepassato non
riesce mai a sostituirne uno maturo ed organizzato stabilmente.
Ecco anche perché abbiamo stabilito una gerarchia di superiorità tra
l’“ Avanti!” e l’“Idea Nazionale”. L’“Avanti!” è l’esponente della
classe proletaria che ha raggiunto una maturità ideologica e storica,
ed è pertanto la più importante delle due ai fini del divenire storico:
l’“Idea Nazionale” è il balbettio, l’inizio di vita della classe
borghese integrale, storica ed economica, che non avrà tempo di
diventare, di arrivare all’idea liberale, […].