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56.16 - Rizzo, Franco, Cultura e politica in Antonio Gramsci

Rizzo, Franco, Cultura e politica in Antonio Gramsci, in «L'osservatore Politico Letterario» [Milano], II, nn. 4, 6 (1956), pp. 35-46, 55-66

 

Il saggio è diviso in due parti: la prima è dedicata alla concezione dell’arte, questione posta marginalmente dal materialismo storico, che AG distingue teoricamente nel momento del godimento estetico e dell’entusiasmo morale, ma quando «si pone all’indagine estetica accade spesso che i motivi “oggettivistici” del marxismo gli prendano la mano e finiscano col trionfare» (p. 43).

Pregno di linguaggio crociano, AG è «uno dei primi a valutare nel suo giusto peso anche il valore letterario di quella prosa»; «del pensiero crociano respingerà l’eterno, cioè le categorie, e manterrà invece il particolare, l’esigenza del concreto, del senso della storia e l’identificazione di filosofia e metodologia» (p. 36), ma non riesce a superare lo scoglio posto dal materialismo storico: «l’Economia, che inghiotte lo spirito dopo esserne stata generata» (p. 37).

Se gli appunti gramsciani rivestono grande importanza dal punto di vista politico per chi si accinga a studiare le manifestazioni culturali del fascismo, non si può dire lo stesso da un punto di vista teorico perché valgono come semplice documento.

Nella seconda parte l’a. sviluppa la questione estetica gramsciana riducendola ad un velleitario tentativo di conciliazione «del “Realismo socialista” con il moderno concetto della Forma-intuizione» (p. 61). Collegandosi al dibattito sull’interpretazione della metodologia desanctisiana (->52.20 Salinari, à52.09 Croce, à52.16 Gerratana), l’a. accetta la conclusione di Gerratana per cui attraverso AG si realizza l’avvicinamento tra materialismo storico e De Sanctis. A quest’ultimo, nel suo tentativo «di stabilire talvolta una meccanica continuità storica della poesia, che così veniva ridotta da lui inconsapevolmente a “letteratura”», l’a. fa risalire la prospettiva di «Kulturgeschichte propria del Gramsci», priva di «un suo campo d’esperienza definito», che «non può sottrarsi ad un suo vagare or nella letteratura, ora nell’estetica, ora nella politica, ed anche nella morale, ricercando sempre invano un filone unitario e costante» (p. 45).

Affascinato dal «fervore appassionato dell’uomo di parte, che ha saldi convincimenti morali e politici e non li nasconde», AG preferisce queste caratteristiche di De Sanctis, piuttosto che «l’alto e sereno equilibrio» (p. 63) di Croce, cui rimprovera «di essere appunto filosofo e non uomo d’azione», ma «riconosce, al tempo stesso, la enorme rivoluzione portata da lui nella cultura italiana» (ivi).

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